Domenica

complesso d’inferiorità e depressione

 

Complesso d’inferiorità e depressione – Domenica

 

Il caso di Domenica testimonia come un complesso d’inferiorità, del tutto inconscio, possa innescare una vera depressione e sovrappeso.

Domenica, una signora di 52 anni, si autodescriveva come vittima incompresa sia a casa che sul lavoro: non faceva che piangere, dormire e consolarsi mangiando dolci:  si sentiva molto infelice.

Diceva che nessuno l’aveva mai amata da piccola e nessuno l’amava ora, neanche il marito ed i suoi due figli. Si chiedeva spesso cosa ci facesse al mondo.

Era molto preoccupata perché stava rischiando di perdere il lavoro: quasi tutte le mattine arrivava in ritardo perché faceva molta fatica ad alzarsi; non riusciva a sbrigarsi per mancanza di energie e, per lo stesso motivo, non ce la faceva a trattenersi in ufficio per recuperare il ritardo. Per di più, non aveva la testa per tenere il passo con il lavoro ed era sempre indietro: aveva già avuto due convocazioni dal capo del personale.

Per questo motivo si era rivolta al medico di famiglia che, dopo una serie di accertamenti, le aveva consigliato di farsi aiutare da uno psicoterapeuta: ed era così che era giunta a me.

Mi precisò di non essere mai stata un “fulmine di guerra”, né una “allegrona e compagnona”. Tutti dicevano che, sin da piccola, era molto calma e piuttosto silenziosa; ma da un anno le cose erano sempre più peggiorate: sentiva che le mancavano le forze ed era sempre più infelice…

Mi disse di essere sposata e di avere due figli: una femmina ed un maschio. La femmina era “felicemente” maritata con un uomo che a lei non piaceva, non aveva figli ed era un “menefreghista al quadrato”.

Il figlio, quindicenne, invece, stava ovviamente a casa con loro; ma da circa un anno non lo si riconosceva più: era diventato un teppista, mancava di rispetto ripetutamente sia a lei che al marito; se ne “fregava” del tutto che lei stesse male, anzi diceva che era tutta una finta; frequentava pessime amicizie e andava molto male a scuola, quando ci andava…

Mi raccontò che i primi tempi lei si arrabbiava con il figlio e cercava di rimetterlo in riga; ma non trovava la solidarietà e l’aiuto del marito che tendeva a lasciar correre quasi tutto. E poi le erano venute a mancare sempre più le forze, e non aveva proprio più avuto le energie per discutere con lui. Suo marito, da parte sua, era diventato sempre più disponibile col figlio, gliele dava tutte vinte: “sembrava vivere solo per lui”.

Mi precisò che la prima cosa che voleva ottenere era di liberarsi di tutta quella stanchezza, in modo da non avere più problemi sul lavoro, perché proprio non poteva permettersi di perderlo.

Scegliemmo quindi di partire subito con la psicoterapia R.E.EM Leva-Spine (ipnosi vigile regressiva).

Durante la seduta di ipnosi vigile rivisse un episodio di quando aveva 5 anni.

Stava con i genitori e la sorella di 2 anni più grande in un negozio di abbigliamento. Erano lì per comprare un cappottino per la figlia maggiore. Lei, la minore, si era innamorata di un vestitino rosso.

Voleva a tutti i costi che glielo comprassero, e così armò un capriccio spaventoso: il padre lo interruppe con un bel po’ di sculacciate. Invece, la madre, per calmarla, le prometteva di darle un vestitino bellissimo al ritorno a casa.

In effetti, appena rincasati, la madre andò all’armadio, tirò fuori un vestito bianco e rosso e le disse: “Ecco, questo è il tuo, vedi quant’è bello?”. Era un vestito della sorella!

Lei iniziò di nuovo a piangere e a strillare: “Non lo voglio, è vecchio!”. La madre le disse con calma: “Allora lo rimettiamo nell’armadio!” e andò in cucina a preparare la cena. Lei si rifiutò di mangiare e se ne andò a letto a piangere. Sentì che per lei quella era stata la prova del nove: lo aveva temuto da sempre, ma quel giorno ne fu sicura, era arrivata la conferma: “A lei comprano i bei vestiti, perciò amano lei; quindi non gliene importa niente di me, non gli piaccio, mi daranno via”. Lo pensava e temeva da tanto, perché vedeva che sua sorella era “più brava” di lei in tutto, i genitori parlavano sempre con lei e le compravano sempre tutte cose nuove, mentre a lei davano solo roba vecchia.

Da allora, aveva smesso di chiedere.

Aveva accettato i vestiti vecchi della sorella in silenzio.

Era diventata una bambina brava e buona.

Ma chiusa, solitaria e triste. Prigioniera del suo complesso d’inferiorità.

In quella seduta sentì che da bambina pensava che i genitori, se amavano la sorella, automaticamente non amavano lei. Scoprì che in  quel momento aveva iniziato a  sentirsi vuota, come se non ci fosse più.

Si rese conto invece che la madre e il padre l’avevano sempre amata, solo che erano poveri, avevano pochi soldi; e sentì che sua sorella non era più brava di lei in tutto: era solo più grande, e per quello stesso motivo i genitori parlavano di più con lei.

Sentì la sofferenza di suo padre e di sua madre quando non potevano darle ciò che desiderava. Ricordò che tentavano di consolarla dandole in cambio ciò che potevano; ma lei non apprezzava nulla perché non era ciò che voleva: anzi, si convinceva sempre più nell’idea che ormai non l’amavano, e perciò non la capivano.

Soprattutto, scoprì perché in quell’ultimo anno era stata così male: sentirsi non considerata, né rispettata dal figlio; vedere che suo marito “viveva solo per il figlio”, incurante di lei, l’aveva fatta nuovamente sentire quella non amata, quella che valeva meno.

In effetti, si era riaperta in lei l’antica ferita: l’innamoramento, il matrimonio, la gravidanza, il ruolo di madre l’avevano lenita; ma quella nuova situazione aveva riacutizzato, con gli interesssi, la vecchia piaga.

Sentì quindi di aver reso al marito la situazione ancora più difficile di quello che già era: aveva dovuto far fronte alle pericolose intemperanze del figlio adolescente senza il suo aiuto; anzi, con il suo star male lo aveva fatto sentire continuamente in difetto e tra l’incudine ed il martello: chi soccorrere dei due? Chi di loro era maggiormente in pericolo?

Si rese conto che non era che il figlio non l’amava, era solo un adolescente che stava attraversando uno dei periodi più tempestosi e complicati della vita.

E il marito? L’amava anche lui: lo dimostrava la sua pazienza con lei. Era solo un povero padre spaventato dalla crisi adolescenziale del figlio e dalle terribili conseguenze che una sua cattiva gestione può causare.

Tutte queste scoperte la fecero commuovere, si sentì leggera e felice, pronta a riconoscere  l’amore dei figli e del marito ed a fare la sua parte di madre.

Quando tornò per il controllo mi disse che si sentiva in forma, che al lavoro non aveva più problemi e che, assieme al marito, si stava occupando del figlio. Non aveva più bisogno di dormire tanto e di consolarsi con i dolci: aveva già perso 5 kg. mangiando normalmente, a pasto. Questo non se l’aspettava, ma la rallegrava molto perché per lei tutti quei chili di troppo erano “un gran peso”…

E mi disse che, nonostante tutte le difficoltà e preoccupazioni, la sua vita era più piena e soddisfacente: la depressione causata dal complesso di inferiorità sviluppato nell’infanzia era finalmente stata debellata.

 

Marcella del Pezzo è psicologa, psicoterapeuta e neuropsicologa iscritta all’Albo professionale dell’Ordine degli Psicologi Psicoterapeuti della regione Lazio con il numero d’ordine 6235, e opera in conformità alle norme di legge vigenti nella regione medesima e nella Repubblica italiana, nonché a quelle del Codice deontologico professionale.

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