una spina da levare - depressione

Depressione – una spina da levare

SISSI: DEPRESSIONE, SENSO DI COLPA, DISPERAZIONE E DOLORE

Sissi è una donna di 53 anni. Lo psichiatra da cui è in cura per la depressione non vuole aumentarle gli psicofarmaci. Perciò le ha raccomandato di riprendere la psicoterapia: infatti, lei l’ha fatta per parecchi anni e ne sentiva giovamento; ma alcuni mesi fa la psicoterapeuta che la seguiva è deceduta.

Guardandola bene vedo che ha bei lineamenti ed una bella linea; ma l’impressione è quella di una povera donna emaciata, consunta: un po’ curva, sembra cascata nel suo abito scuro, viso pallido, tra il cadente ed il tirato, occhi spenti. Appena accomodatasi, mettendosi una mano sul petto, mi confida di portarsi da una vita “un gran dolore dentro, una disperazione”. Mi spiega che più volte al giorno viene presa da immotivate crisi di pianto.

Visto che l’emozione da eliminare non è da cercare, passiamo subito alla R.E.EM.

È abituata a meditare, quindi non ha bisogno di aiuto per rilassarsi e si abbandona rapidamente alle onde theta. Dice di sentire un gran peso sul petto e di far fatica a respirare; infatti il suo corpo è immobile: benché sdraiata, non si vede neanche l’ombra dei movimenti respiratori; ma ogni tanto prende delle grandi boccate d’aria gonfiando vistosamente il petto. A un certo punto comincia a dire ripetutamente, con voce piangente: “Voglio scappare … non voglio stare qui”. Ad un tratto si tocca il ginocchio destro e dice “una fitta”. Poi successivamente, con voce tranquilla: “non posso farci niente… non potevo fare niente… ero piccola…..”.

Lentamente si calma, la pressione sul petto si allenta fino a svanire e la respirazione si approfondisce, inizia dalla pancia, poi arriva fino al petto che si solleva ed abbassa con  regolarità.  Riapre gli occhi, mi guarda, sorride e dice:

“Ho capito… non potevo farci nulla, non sai quanto mi sento alleggerita!”. Come prima cosa ha espresso molta meraviglia per  aver rivissuto quell’episodio “dal di dentro”.

Durante la rielaborazione dell’esperienza fatta sul lettino racconta di aver rivissuto un episodio accaduto verso i tre anni.  Stava con sua madre e la sorellina piccola in una cabina telefonica; la mamma parlava al telefono e piangeva a dirotto. Lei non ce la faceva a stare ad ascoltare quel pianto, sentiva che doveva scappare di lì:  ad un certo punto  l’ha fatto;  è corsa via sulla strada, è stata investita da una macchina e si è fatta male ad un ginocchio.

Dice che durante il trattamento ha sentito:

– che il dolore era troppo forte per lei così piccola;

– non poteva fare niente per la madre;

– la fuga era per lei l’unica soluzione;

– un gran senso di liberazione.

Nella rielaborazione si è resa conto che il sollievo provato era dovuto all’eliminazione del senso di colpa. Infatti, da piccola si era sentita colpevole della perenne tristezza della madre: era questo il motivo per cui in quella cabina non riusciva a sopportare il pianto della madre. Questa, era una donna delusa e inaridita, costretta dalla “vita” a vivere con un marito irascibile che faceva “tremare la casa con il suo vocione tonante”. Mai un sorriso, molti pianti. In pratica, soffriva di depressione anche lei.

In più, il senso di colpa di Sissi era stato confermato e accresciuto da quell’incidente: l’aveva interpretato come la giusta punizione per aver abbandonato la madre al suo dolore. Ha esclamato: “Ecco perché è tutta la vita che soffro con lei! Ecco perché non riesco a pensare a me!… Ma io non  c’entravo niente con il suo pianto, la sua tristezza e la sua depressione… Ho praticamente rinunciato a vivere la mia vita per aiutarla nel suo dolore!”

Il viso era radioso e la postura bella eretta: sembrava più alta e in ottima forma fisica; ma soprattutto si sentiva leggera e gioiosa, determinata a godersi finalmente la sua vita.

Il mese successivo è tornata per “togliersi un’altra spina”. Mi ha detto che, dopo la prima seduta R.E.EM, per una settimana ha aspettato, inutilmente, una crisi di pianto mai più arrivata. Ha detto di essere ancora stupita di quanto  le sembra lontano, come non suo, il ricordo del proprio dolore e di quello della madre.