Maria Pia - Problemi psicologici inconsci e danni

Problemi psicologici inconsci e danni

PROBLEMI PSICOLOGICI:  QUANTI DANNI SUBISCE E CHE VITA FA CHI NON SI  ACCORGE DI AVERLI!

Si potrebbe dire: “Chi non ha problemi psicologici scagli la prima pietra”. Li abbiamo tutti; ma molti non se ne accorgono e addebitano problemi psicologici e malessere a tutt’altra causa: al carattere, alla personalità, alla sfortuna, alla cattiveria del mondo.

Trovo questo  caso davvero interessante per due motivi: costituisce un esempio di quanto si può soffrire per problemi psicologici, senza saperlo; ed è una seria prova dei grandi vantaggi della Psicoterapia R.E.EM “LEVA-SPINE” rispetto alle psicoterapie più conosciute. Infatti: stesso terapeuta, io, in entrambi gli approcci terapeutici; ma risultati molto diversi.

Maria Pia era una dolce signora di 40 anni con un’intelligenza brillante che si vedeva soprattutto sul lavoro. Infatti, era una professionista di successo, ma aveva dei problemi psicologici e dei limiti che stupivano: timida con gli adulti, non riusciva neanche a chiedere informazioni per farsi indicare una strada; non ricordava mai dove aveva parcheggiato la macchina. Era molto sbadata, e le persone che frequentava sentivano il bisogno di aiutarla a non lasciar nulla di suo quando andava via. Spesso le dovevano proprio correre dietro con l’oggetto dimenticato.

Aveva un’aria un po’ trasognata; era affabile ma distante, colta e creativa ma pesante; e ciò perché parlava in modo analitico, razionale e verboso. Sentiva di non essere di buona compagnia, ma non se ne spiegava il perché. Né se ne faceva un cruccio, tutta presa com’era dal suo lavoro in cui era super-attenta, efficace e realizzata.

Maria Pia soffriva di emicranie e di problemi alle vie respiratorie. Il suo medico l’aveva mandata in psicoterapia insospettito dallo strano andamento dei suoi disturbi: infatti questi apparivano solo nei periodi lavorativi, senza impedirle l’attività professionale; ma le rendevano dura la vita personale.

I suoi problemi di salute si affacciavano in sordina; andavano in crescendo, nonostante le cure, per poi trascinarsi fino al momento delle vacanze. Lei trovava tutto ciò normale per il suo stato di salute. Infatti volle subito chiarire di “non aver bisogno della psipiacoterapia” e che la faceva  solo “per rispettare il volere del medico”. E tutto mi portava a pensare che presto l’avrebbe lasciata dichiarandola “tempo perso”.

Invece, alla terza seduta, mi disse di aver fatto un sogno e mi chiese di interpretarlo. Era una fantasia dei suoi sei anni quando, in preda alla rabbia, aveva desiderato/immaginato sua madre “morta stecchita”. Il senso di colpa era stato così immediato e violento da impedirle, in seguito, ogni tipo di immagine mentale. Le dissi che aveva fatto una semplice “fantasia di morte”. La settimana dopo, giunse piena di eccitazione e meraviglia: mi raccontò che la volta scorsa, uscita dal mio studio, aveva “visto nella sua testa, per la prima volta nella vita, il posto dove aveva lasciato la macchina”. E con grande soddisfazione aveva aggiunto: “Ecco come facevano tutti gli altri!”.

Maria Pia cambiò anche il suo modo di parlare. Invece di utilizzare lunghi periodi per dire ciò che voleva,  iniziò  ad usare delle espressioni figurate: la prima fu “quel bambino è peggio di un’anguilla”. Certamente in altri tempi avrebbe detto: “Non c’è modo di tenerlo fermo, se lo blocchi da una parte si svincola e scappa dall’altra; ti sembra di essere riuscita a fermarlo, ma lui ti riscappa e riprende ad andare in giro, a correre e a saltare; nessuno riesce a fermarlo per più di tre secondi”.

Si accorse da sola del cambiamento linguistico e solidarizzò con umorismo con quelli che l’avevano ritenuta pesante/pedante. Capì di aver parlato, fino ad allora, come i ciechi che non possono usare le immagini per esprimere i concetti, per cui sentono sempre di non essersi spiegati bene e aggiungono parole alle parole.

Quest’esperienza la riempì di stupore. Ma, cosa più importante, la convinse che con la psicoterapia poteva liberarsi da difficoltà e limitazioni che fino ad allora aveva ritenute “congenite” o insite nel suo “carattere”.

Maria Pia iniziò così un percorso che durò nove anni, dato che purtroppo i suoi guai erano iniziati già al momento della nascita e avevano inquinato ogni fase del suo sviluppo; in tal modo i problemi psicologici erano cresciuti ed aumentati insieme agli anni.

In quei nove anni le capitò spesso di dire che poco a poco si sentiva  “rinascere”.

Riusciva a gestire i rapporti con gli adulti, era più presente a se stessa, aveva aggiustato il suo rapporto con entrambi i genitori. La sua salute si era abbastanza stabilizzata, anche se le sue guarigioni erano ancora molto lente.

Proprio quando eravamo in fase di chiusura, io iniziavo a praticare la psicoterapia R.E.EM., e le offrii perciò di provarla. Lo fece di buon grado, ma più che altro per farmi piacere. Pensava che, dopo tutto il lavoro fatto, era ben difficile ottenere qualcosa di nuovo. Ebbene, fu così e non fu così: durante la seduta, sdraiata sul lettino, rivisse il primo incontro con sua madre dopo la sua nascita: un faccia a faccia madre/figlia, entrambe urlanti e piangenti, bocche ed occhi spalancati, in preda all’orrore: la piccola aveva il labbro leporino!

Pianse emettendo sordi gridi dalla gola, poi pian piano si calmò, iniziò a respirare con regolarità e sorridendo disse: “povera mamma”. E, subito dopo, “che bella luce! Celeste !…”..

Mi raccontò, poi, che aveva sentito prima un grande spavento vedendo la bocca spalancata di sua madre e sentendo le sue urla. Poi aveva provato compassione per lei. Subito dopo l’aveva invasa una grande pace, seguita dalla visione di una luce azzurra molto brillante. Quando scese dal lettino era luminosa, raggiante, mi abbracciò e mi disse di sentirsi leggera come mai in vita sua. Era molto colpita da questa esperienza, ed io con lei. Questo perché il tema della malformazione era stato molto trattato nei nostri nove anni di terapia: non pensavamo che vi fosse tanta emozione ancora  viva.

Dopo un mese ci rivedemmo per il primo incontro di controllo. In quella sede mi spiegò che, da dopo l’ultima seduta R.E.EM, si sentiva del tutto cambiata. Infatti, prima, per interagire con gli altri aveva bisogno di servirsi del lavoro fatto in terapia: tanto che spesso diceva a se stessa “Marcella mi direbbe, Marcella farebbe…”. Ora invece lo faceva in modo diretto, senza pensarci su un attimo e riusciva simpatica e spigliata. Mi disse che per la prima volta aveva capito il senso della parola “spontaneità” e che “vivere con spontaneità  è un gran bel vivere!”.

Maria Pia concluse dicendo che, prima della R.E.EM, aveva vissuto da “guardiana dei propri fantasmi”: senza mai poter abbassare le difese per non esserne sopraffatta. Sentiva che fino ad allora li aveva solo gestiti, ora si sentiva davvero libera. Si rammaricava perché la R.E.EM non era arrivata prima… poteva essersi  risparmiata anni di dolore e difficoltà .

Si fece promettere che, se mai avesse sentito qualche fantasma ancora in azione, le avrei fatto fare una R.E.EM., cosa che promisi. E uscendo mi consigliò di cambiare il nome alla psicoterapia R.E.EM e di chiamarla “LOTTA  DI LIBERAZIONE”!

Il Fantasma della “Paura di destare orrore”, che per 40 anni l’aveva segregata nel suo mondo, era alla fine dissolto. Maria Pia si era  tolta per sempre la spina che  tanto a lungo l’aveva tormentata.

Nota bene:

l’immagine in principio di articolo non è quella della protagonista

ma ha solo un valore evocativo della sua sofferenza