ansia e pessimismo

ansia e pessimismo sconvolgono le famiglie

Ansia e pessimismo: il caso di Fernando

Il caso di Fernando è un esempio di come ansia e pessimismo possano venire da lontano. E di come la loro causa possa sembrare uno sciagurato problema di carattere ”innato”.

Fernando era un signore sulla cinquantina; non “venne” da me, ci fu letteralmente “mandato” dalla moglie: era l’estremo tentativo per evitare la separazione.

La prima volta che  lo ricevetti mi mise al corrente della sua situazione matrimoniale.

Mi disse che la moglie gli riconosceva di non far mancare nulla alla famiglia, di essere un marito fedele, di non aver alzato mai le mani sui figli: fino a poco tempo prima bastava una sua occhiata perché loro obbedissero.

Mi raccontò che quando lui e sua moglie si erano conosciuti, a lei piacevano la sua serietà ed il suo senso di responsabilità. Gli diceva che con lui si sentiva al sicuro come non mai, che aveva finalmente trovato il suo ideale di ragazzo serio.

Lui, da parte sua, si era innamorato della moglie per la sua spensieratezza, allegria, vivacità, sorriso e risata facili: vicino a lei si sentiva bene, più leggero e tranquillo.

Le cose per lui erano cominciate a cambiare dopo il matrimonio ed erano sempre più peggiorate dopo l’arrivo dei figli; ma, soprattutto, man  mano che questi crescevano e manifestavano la loro volontà ed i loro bisogni.

L’ansia ed il pessimismo, che avevano sempre fatto da sfondo nella sua vita, erano cresciuti a dismisura: ora sua moglie lo accusava di farla sentire “stritolata, soffocata e sempre meno vitale”.

In realtà lui si rendeva conto di essere costantemente in ansia, troppo “previdente” ed apprensivo.

La moglie non sopportava più la sua ansia e tanto meno il suo pessimismo: non faceva che dirgli: “tu non vedi solo il bicchiere mezzo vuoto, lo vedi tutto vuoto!”.

Il fatto era che, razionalmente, riconosceva che c’era del vero in ciò che lei diceva: il punto era che non riusciva a fare altrimenti, perché dentro di sé sentiva, in modo prepotente, che quella era la cosa migliore da farsi.

La moglie, però, diceva di non poterne più. Era sempre nervosa, ammusata, non le andava più bene niente di lui. Gli rimproverava di essere sempre serio, preoccupato e di farli vivere nell’incubo di ipotetiche catastrofi di tutti i tipi. Diceva di averne fino alla cima dei capelli del suo “senso di responsabilità”, della sua ansia e del suo pessimismo.

Lui riconosceva che benché fossero in una situazione economica discreta, non permetteva alcuna spesa superflua e tantomeno futile.  Venne fuori che era molto tirato con viaggi, vacanze, giochi, abbigliamento, ecc..

Ammise anche di essere sempre stato carico d’ansia ed apprensivo: non aveva mai lasciato  andare da sola la moglie e  tantomeno i figli: accompagnava sempre tutti e, se poteva, restava con loro.

Finché i figli erano stati piccoli questa sua “tecnica anti-ansia” era andata bene per la famiglia, anche se molto faticosa per lui: il suo essere sempre presente era apprezzato dai figli; ma in particolare dalle mamme dei loro compagnetti; il che lusingava sua moglie. Quindi riusciva a tamponare la sua ansia ed il suo pessimismo senza guastare il clima familiare; anche se c’erano stati sporadici episodi di litigio e nervosismo che però, nel tempo, s’erano sempre più intensificati.

Ora che i figli erano diventati adolescenti, la casa s’era trasformata in un vero inferno. La moglie s’era alleata con loro che pretendevano di fare la stessa vita dei loro compagni: volevano uscire da soli, a tutte le ore, compresa la notte; chiedevano la moto, abbigliamento griffato, denaro ecc..

Erano litigi continui. La vita stava diventando invivibile. La moglie voleva addirittura separarsi, ma lui era contrario, ed ecco perché aveva accondisceso a fare un tentativo con la psicoterapia.

Una parte di lui sentiva che doveva “essere di manica più larga”, meno ansioso e più ottimista; ma proprio non ci riusciva. Il problema era che sentiva sempre che se avesse mollato un po’ sarebbe successo l’irreparabile: lui “doveva” proteggere la sua famiglia in tutti i modi, per evitare la tragedia totale.

Nella sua seduta di psicoterapia R.E.EM Leva-Spine (Ipnosi Vigile Regressiva) si rivide di tre mesi, in braccio alla madre mentre prendeva il latte; si sentiva beato. Poi all’improvviso aveva squillato il telefono; la mamma l’aveva rimesso nella culla; era andata a rispondere; aveva lanciato un urlo; era scoppiata a  piangere ed era uscita di casa di corsa.

Lui restò abbandonato e piangente nella culla.

Durante la stessa seduta rivisse altre due scene. Nella prima era più grandino, 3 anni circa, e la madre piangeva mentre lo vestiva. Nella seconda lui tirava la madre per il maglione, lei gli toglieva la mano e la zia lo portava via dicendo: “lascia stare mamma che è stanca”.

Capì che, durante la seduta R.E.EM., aveva rivissuto il momento in cui sua madre aveva ricevuto la notizia dell’incidente mortale del marito. Si rese conto di non ricordare di aver mai visto sua madre sorridere. Ricordò però che l’aveva spesso vista piangere. Non si era mai più ripresa.

Rammentò anche una zia, sorella della madre, che per alcuni anni era andata ad abitare da loro. A lui, da piccolo, questa zia non piaceva perché gli impediva sempre di andare a giocare dalla mamma. Era stato contento quando s’era sposata ed era andata a vivere in America.

Ora capiva che aveva aiutato la madre e loro bambini in un momento molto difficile.

Raccontò che durante la regressione si era sentito dentro un malessere che gli invadeva l’intero corpo, tanta confusione, disperazione, senso di colpa e impotenza: poteva solo piangere.

Quello che lo meravigliava di più era il senso di colpa: era come se avesse sentito che tutto era  successo perché lui stava ciucciando beatamente..

Gli diedi una breve spiegazione sull’egocentrismo e sull’onnipotenza infantili. S’illuminò ed esclamò: “Ecco il senso della mia ‘tecnica anti-ansia’! Finché ero vigile nulla di male poteva accadere ai miei cari!”…

Era molto meravigliato e colpito per tutte quelle emozioni provate, per la loro intensità; ma soprattutto dal fatto che avessero potuto condizionare  così tanto la sua vita adulta..

Aveva sempre saputo che gli era morto il padre quando era lattante, e che la madre non si era più ripresa. E lui aveva cominciato a piangere di continuo ed aveva avuto grosse difficoltà a prendere il latte dal biberon.

Quello che non immaginava era che le emozioni di allora fossero ancora così  vive e forti dentro di lui.

Gli fu chiaro che la notizia della morte del padre mentre succhiava beatamente il latte era stata per lui il crollo del suo mondo: non aveva più ritrovato la mammella ed il calore del corpo della madre; da allora aveva respirato dolore e tristezza; aveva sofferto per la sua incapacità di far star meglio la mamma. E tutto era avvenuto perché non stava all’erta, era completamente preso nel suo immenso piacere.

Si rese sempre più conto di essere vissuto, da allora, portandosi dentro il senso di colpa per l’accaduto; dalla morte improvvisa del padre era vissuto con una spada di Damocle sulla testa: il benessere non dura, se ti lasci distrarre arriva la tragedia irreparabile; l’unica cosa è stare sempre in guardia per evitarla o, quantomeno, essere pronti per arginarla.

Finalmente gli fu chiaro il motivo per cui, più le cose andavano bene, più veniva assalito da un’ansia terrorizzante; ed anche perché applicare la sua ‘tecnica anti-ansia’ era per lui una questione di vita o di morte.

Sentì molta compassione per la madre: con dolore concluse che anche la sua incapacità di superare il trauma  aveva contribuito a rovinargli la vita.

Appena terminato di fare questa sofferta considerazione, mi guardò dritto negli occhi con lo stupore dipinto sul viso e mi disse: “Ma io non sto proteggendo la mia famiglia! Anzi, sto rovinando la vita dei miei figli, di mia moglie e la mia!”.

Capi il malumore e l’insoddisfazione di lei, ne apprezzò la pazienza e l’amore che le avevano permesso di riuscire a sopportare  fino a quel momento lui, la sua ansia e il suo pessimismo.

Comprese anche le richieste dei suoi figli.

Mi salutò convinto che da quella porta stava uscendo un nuovo uomo, un nuovo padre ed un nuovo marito.

 

Marcella del Pezzo è psicologa, psicoterapeuta e neuropsicologa iscritta all’Albo professionale dell’Ordine degli Psicologi Psicoterapeuti della regione Lazio con il numero d’ordine 6235, e opera in conformità alle norme di legge vigenti nella regione medesima e nella Repubblica italiana, nonché a quelle del Codice deontologico professionale.

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