obesità e sovrappeso: ciò che pochi sanno

obesità e sovrappeso

PREMESSA

Il problema dell’obesità e del sovrappeso non ha fatto che crescere ed espandersi in quest’ultimo cinquantennio.

Al giorno d’oggi ognuno desidera essere snello e tutti sanno che ingrassare è molto rischioso per la salute.

Si dà molta importanza alla prevenzione dal momento stesso del concepimento in poi; ci sono controlli severi sull’adulterazione e contraffazione di cibi e bevande, sull’inquinamento dell’aria e delle acque.

Abbiamo fatto passi giganteschi nel campo della salute a 360°; eppure l’obesità ed il sovrappeso impazzano: anche bambini, adolescenti e giovanissimi ne  soffrono.

Come mai questa incongruenza? È perché abbiamo il senso del gusto? Non può essere: fa parte della nostra dotazione genetica che ha permesso e permette la sopravvivenza della specie umana. E siamo anche forniti di un centro della sazietà.

Ma  perché allora il fenomeno è tanto diffuso? Basterebbe mangiare di meno… È un po’ più complesso di così; soprattutto  c’è  un fattore, noto a pochi, che influisce molto su questo fenomeno a diversi livelli: sulla sua diffusione, sull’abbandono  delle diete, sulla difficoltà di mantenere il peso raggiunto, sull’incuranza per la salute.

È un fattore subdolo perché difficilmente immaginabile e ben nascosto anche  sotto cause di obesità e sovrappeso molto note. Per ben  comprenderlo sono necessarie delle informazioni di base che in questo testo vengono appositamente  illustrate.

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http://www.vitadidonna.it/alimentazione/obesita/obesita-quando-si-puo-dire-di-essere-obesi-o-in-sovrappeso.html

IL FALLIMENTO DELLE DIETE AGGRESSIVE

Il problema non è di oggi: possiamo dire che è da più di un cinquantennio che è in continua crescita. E infatti c’è stato un fiorire di diete basate sul controllo delle quantità dei cibi, nonché delle calorie introdotte.

Il problema è che queste diete o affamano o frustrano il gusto; purtroppo pochi cibi ipocalorici sono gustosi. Ma si sa, c’è perfino un detto che dice: “le cose che piacciono o fanno male, o sono peccato, o costituiscono reato”.

E così molti, prima di imbarcarsi in una di queste diete, rimandano a lungo, alcuni all’infinito. Conosciamo tutti il detto “domani digiuna Giovanni“.

Altri iniziano; ma non riescono a portarle avanti abbastanza a lungo da raggiungere il peso voluto. Ed in barba ai buoni propositi, il numero delle persone con obesità e sovrappeso non fa che aumentare…

C’è infine un gruppo di persone motivate e determinate, capaci di sostenere lunghi sacrifici che giunge vittorioso in porto; ma ahimè, non riesce a restarci a lungo.

Sono andate di moda anche diete folli, perfino nocive per la salute; né sono mancati farmaci per il controllo dell’appetito, bibitoni, tisane e barrette sostitutive dei pasti.

Il risultato è stato in tutti i casi lo stesso: sono tutte costate tanti sacrifici e tutte hanno dato risultati nulli o momentanei. I delusi da queste diete sono un battaglione.

Infatti le vittorie ottenute in questo modo durano poco: in un batter d’occhio ecco tutti i chili perduti ritornare alla base con l’interesse.

E ciò perché queste diete stressano molto reni e fegato: li riempiono di tossine, per cui riescono sempre meno a far bene il loro lavoro.

È così che, finita la dieta, il consumo anche di quantità minime di carboidrati provoca un repentino aumento di peso. Per cui, se la persona vuole ritornare al peso ottenuto con tanti sacrifici, è costretta a rifare la dieta. E la fatica e la difficoltà sono sempre maggiori… Così, di yo-yo in yo-yo ci si allarga sempre più.

Si è anche data la colpa della “fisarmonica” al fatto che quelle diete abbassano il metabolismo: quindi il fisico si abitua a funzionare con poche calorie e nutrimento. Questa abitudine “parsimoniosa” continua anche quando si ricomincia a mangiare in modo normale.

La conseguenza è che il fisico brucia meno e trasforma tutto il cibo che non utilizza in grasso.

E l’argomento fila; ma il punto essenziale sta nel fatto che il motivo che ha provocato I’obesità o sovrappeso è restato lì nonostante la dieta.

Questo le persone lo intuiscono, sentono di avere un problema che non va mai perso d’occhio.

E si sentono in colpa, quando riprendono i chili persi: si biasimano per mancanza di carattere, per non saper resistere alle tentazioni, per non riuscire a mantenere il peso sotto controllo. Ma chi può sopportare per tutta la vita lo stress e la frustrazione che stare a dieta comporta? È l’organismo stesso che si ribella perché si sente in pericolo: ci manda segnali di bisogno di cibo forti come solo Madre Natura sa farlo.

In realtà ecco cosa succede nel nostro organismo:

1) stare a dieta è uno stress che va ad aggiungersi a quelli del vivere quotidiano;

2) quando siamo stressati produciamo cortisolo, conosciuto anche come l’ormone dello stress; le sue prerogative sono: mettere fame ed aumentare lo zucchero nel sangue.

Il primo punto spiega la “mancanza di carattere”. In realtà si tratta di una “fame chimica” difficile da controllare.

Il secondo, insieme al primo, spiega l’ingrassamento: infatti zuccheri in eccesso vengono trasformati in grassi che vanno sulla fascia addominale.

Il fatto vero è che sovrappeso ed obesità sono causati ed influenzati da molti fattori. Ogni persona in sovrappeso ne ha almeno uno; ma può averne anche di più.

Quindi, per affrontare il problema in modo serio, occorre trovarli tutti, mediante appropriate ricerche, ed affrontarli: ciò consente di elaborare programmi su misura per ogni persona.

In tal modo si raggiunge un doppio risultato: la desiderata perdita dei chili in eccesso ed un effettivo miglioramento della salute.

Infatti si ottiene anche il ripristino del corretto funzionamento degli organi, apparati o funzioni che, alla lunga, vengono danneggiati da un eccesso di peso e di grasso.

Inoltre, poiché il problema sovrappeso o obesità è stato superato intervenendo sui fattori che l’avevano determinato, il peso potrà restare stabile.

La diversità e molteplicità di cause possibili spiega perché, sinora, nessuno ha trovato il prodotto o trattamento efficace per tutti.

Per meglio comprendere la complessità del problema e potersi muovere in modo appropriato, è utile farsi un’idea su alcuni dei motivi che possono determinarlo. Non conoscerli e/o non tenerne conto si paga con il fallimento della propria dieta o programma dimagrante e con seri rischi per la salute.

Andiamo quindi ad esaminare le cause del flagello dei chili in eccesso, dell’abbandono delle diete e del frustrante yo -yo; nonché i modi migliori per evitarli.

Iniziamo dai “colpevoli” più noti: senza un minimo di conoscenza scientifica su come agiscono sarebbe veramente difficile identificare il colpevole più subdolo ed insidioso: quello che pochi conoscono e prendono in considerazione.

I “COLPEVOLI” DI OBESITÀ E SOVRAPPESO

    1. Alimentazione troppo ricca di zuccheri

Il modo di alimentarsi è la causa più nota dello sviluppo dell’obesità e del sovrappeso. E,come vedrete in seguito, il suo funzionamento è molto collegato a quello che pochi conoscono.

Il meccanismo è semplice e fa capire il criterio che ha ispirato diverse diete quali l’iperproteica, l’ipocalorica, ecc.. Come pure il perché del loro fallimento. Ecco in sostanza, e detto in modo semplificato, cosa succede:

  • facciamo un pasto molto ricco di zuccheri che vanno nel tubo digerente;
  • una grande quantità di glucosio (zucchero) passa rapidamente nel sangue attraverso la parete intestinale;
  • il pancreas si accorge che nel sangue c’è più glucosio del normale: si affretta a mandare in circolo insulina in proporzione allo zucchero arrivato;
  • l’insulina porta il glucosio al fegato e ai muscoli; se è troppo per essere consumato, lo accantona come riserva, trasformato in grasso; così il tasso di glucosio nella circolazione discende rapidamente;
  • ma il pancreas si accorge ben presto che il sangue è diventato povero di glucosio: manda subito in circolo il glucagone che va a riprendere il grasso che l’insulina aveva immagazzinato, lo ritrasforma in glucosio e lo rimette in circolo;
  • ahimè, il glucagone mette anche fame e ci porta a rimangiare anche se lo abbiamo fatto da poco. Si produce così del nuovo glucosio;
  • il povero pancreas si accorge che il tasso di glucosio è nuovamente troppo alto e rimanda nel sangue un altro bel carico di insulina…

S’innesca così un circolo vizioso: di nuovo tanta insulina e poi tanto glicogeno nelle cellule: queste, carico dopo carico, non fanno che accumulare zucchero e trasformarlo in grasso. Ed eccoci in sovrappeso o obesi. Il grasso formatosi in questo modo si accumula prevalentemente sulla fascia addominale:  la classica silhouette a mela.

Se questo balletto glucagone-insulina dura troppo a lungo il pancreas si stanca; subisce un progressivo declino funzionale delle cellule deputate alla produzione di insulina, con aumento della glicemia a digiuno (IFG). Il fegato, da parte sua, è troppo pieno per poter consentire l’entrata a nuovo glucosio.

E queste sono le basi per la comparsa del diabete di tipo 2 e resistenza insulinica.

A questo punto la domanda sorge spontanea: “cosa fa innalzare l’insulina?”. E la risposta è doverosa in quanto può essere molto utile.

I fattori che determinano l’aumento dell’insulina sono i seguenti:

1)   i carboidrati semplici (zuccheri, miele, sciroppi) provocano l’aumento maggiore;

2) i carboidrati complessi (specie se mangiati da soli) fanno innalzare l´insulina, anche se un po’ meno di quelli semplici;

3) il pancreas produce insulina agli inizi di un pasto. Possiamo dire che ha una memoria di 20 ore. Infatti la quantità d’insulina che produce ad ogni nuovo pasto dipende da quella prodotta nelle ultime 20 ore. Per cui, più carboidrati si sono mangiati nelle ultime 20 ore e più insulina verrà prodotta durante quel pasto;

4) ne consegue che, dopo un pasto particolarmente ricco, conviene tenersi per 20 ore piuttosto leggeri, se non osservare un giorno di digiuno. Per lo stesso motivo è controindicato mangiare zuccheri e carboidrati a distanza ravvicinata: in tal modo si ottiene che ogni volta aumenta la quantità di insulina prodotta… magari per degli spuntini irrisori. Mangiare 150 g di carboidrati tutti in una volta fa produrre meno insulina che suddivisi in 3 volte nell’arco di 3 ore;

5) la produzione di insulina aumenta molto se il pasto dura più di 50 minuti… per cui è giusto dire “a tavola non s’invecchi”;

6) poiché l’insulina viene prodotta all’inizio del pasto è bene iniziare con l’insalata. Un po’ perché ci aiuta a riempirci, ma anche perché è fatta di fibre, perciò aiuta ad abbassare il bisogno complessivo di insulina. E forse ci aiuta anche un po’ a gabbare il pancreas; è come dirgli: “guarda che per quel che mangio puoi pure riposarti”.

È utile quindi conoscere l’Indice Glicemico dei vari cibi per avere un’idea di quanto glucosio immettiamo nel sangue mangiandoli.

Vedi: Tabelle indice glicemico alimenti

  1. Resistenza insulinica

Cosa succede se mangiamo carboidrati nella giusta misura?

Vengono trasformati in glucosio e messi in circolo; entrano nelle cellule dell´organismo e vengono depositati nel fegato sotto forma di glicogeno, ma non vengono trasformati in grassi, perché servono per le varie funzioni vitali. E allora come mai delle persone, pur non mangiando molto, ingrassano facilmente, mentre dimagriscono con tanta fatica?

Succede quando l´insulina non riesce a far entrare, come dovrebbe, il glucosio nelle cellule e a trasformarlo in glicogeno: il glucosio, anche se non troppo, viene comunque trasformato in grasso depositato.

Ciò accade perché le cellule del fegato fanno resistenza, si oppongono all’entrata del glucosio portato dall’insulina.

Ma quali sono i motivi che le fanno diventare resistenti?

1) troppi dolci e/o carboidrati nella dieta;

2) troppi alcolici;

3) stress: il cortisolo è causa diretta di resistenza insulinica;

4) steatosi o fegato grasso;

5) scarsa attività fisica.

I punti 1), 2) e 5) si spiegano da soli. Invece il 3) e il 4) meritano una particolare attenzione.

In particolare il fattore stress è talmente importante e complesso da meritare di essere trattato a parte.

Si parla di steatosi epatica quando c’è tanto grasso nel fegato da fargli superare del 5% il suo peso normale. Purtroppo ne soffrono anche i non bevitori di alcol. È asintomatica e viene di solito sospettata quando si trovano valori elevati di transaminasi.

È molto frequente tra gli obesi. Il rischio maggiore per la salute sono la cirrosi epatica, il diabete mellito, sindrome metabolica, e quindi infiammazione, radicali liberi, eventi cardiovascolari, pressione alta, ecc.. Oltre ovviamente l’obesità ed il sovrappeso.

Cos’hanno in comune questi punti? Le cellule epatiche sono troppo piene di zuccheri (glicogeno) e grassi (trigliceridi).

Il povero fegato ha trasformato, finché ha potuto, il glucosio in glicogeno… Ma alla fine arriva il momento in cui le cellule dicono: “basta!”.

E allora dove vanno a finire tutti i grassi di troppo che sintetizziamo? Vengono depositati principalmente sotto forma di adipe addominale: la pancetta. Si sviluppa così la classica conformazione “a mela”.

Invece, nel caso di metabolismo tiroideo difettoso, i grassi in eccesso si depositano principalmente nelle gambe e nei glutei; tipica forma mediterranea “a pera”.

Purtroppo il grasso addominale è più cattivo di quello accumulato in altre parti del corpo: ha un’alta correlazione con i  rischi di problemi all’apparato cardio-vascolare.

E allora cosa si può fare se sovrappeso ed obesità sono dovute a resistenza insulinica?

Sono tre le cose importanti: stile alimentare – serenità ed equilibrio interiore – attività fisica.

Quest’ultima richiede un dispendio di energia che le cellule producono bruciando glucosio: in questo modo si svuotano e possono pian piano ricominciare a funzionare.

Questo non significa dover fare vita da instancabili atleti. Anzi, gli esercizi fisici estenuanti e troppo prolungati sono proprio sconsigliati: essi infatti possono addirittura alzare la glicemia.

Quello dell’equilibrio interiore è un discorso piuttosto complesso e merita un’attenzione particolare che avrà in seguito. Quanto allo stile alimentare non si tratta di affrontare una penosa dieta: ci sono ora programmi alimentari di ultima generazione, attenti alla salute nonché ad evitare lo stress da dieta. In effetti è giusto sostenere che non possono essere considerati diete dimagranti.

Questi programmi si basano essenzialmente sulla conoscenza e rispetto del metabolismo. Utilizzano una sapiente scelta, associazione e distribuzione dei cibi nell’arco della giornata.

Ne consegue che non si può pensare al “fai da te”; almeno all’inizio, finché non si è ben imparato come regolarsi per risolvere il proprio personale problema: c’è bisogno di un professionista esperto che ci guidi.

Il bello di questi programmi alimentari è che non c’è bisogno di pesare il cibo e di fare mille calcoli; non si deve rinunciare a mangiare a sufficienza e con gusto, né dire addio ai cibi preferiti.

Ci sono comunque cibi da evitare (IG alto), da mangiare con moderazione (IG medio) e cibi consigliati (IG basso).

Nonostante tutto, diverse persone restano deluse anche da questi elaborati programmi alimentari.

Questo succede quando ci si scontra con qualche “nemico nascosto”.

Ce ne sono alcuni che, con indagini molto particolari, possono essere stanati; altri che sono nascosti molto meglio, tanto che la loro esistenza è poco nota, se non addirittura negata.

  1. L’infiammazione cronica silente

Tutti sappiamo che mangiare sistematicamente troppo fa ingrassare, specie se si tratta di dolci e carboidrati.

Ci sono invece dei motivi che sono molto meno noti,  come:

  • infiammazione intestinale (spesso dovuta ad intolleranze alimentari, alla presenza nell’intestino di batteri, funghi come la candida, parassiti, ecc.);
  • cellulite;
  • grasso in eccesso.

Si tratta di tutte situazioni che generano uno stato di infiammazione nell’organismo. Purtroppo sono problemi assai subdoli: causano molti disturbi anche se l’infiammazione non è tale da essere individuata dagli esami clinici di routine; per individuarli occorrono indagini cliniche molto mirate.

Fra i disturbi ci sono appunto l’obesità ed il sovrappeso. Ma come è possibile? L’infiammazione danneggia il sistema che mantiene il nostro peso costante: non viene più prodotto a sufficienza l’ormone che diminuisce l’appetito quando l’organismo non ha bisogno di altro nutrimento; non viene aumentato il dispendio energetico per mantenere la temperatura corporea.

Queste funzioni sono assolte dalla leptina, un ormone che viene molto influenzato dall’infiammazione: più quest’ultima è importante, meno riesce a far diminuire la fame e a far bruciare gli zuccheri.

Chi non riesce a perdere peso con una dieta basata sull´indice glicemico è bene che indaghi su questi fattori d’infiammazione.

Qualora vengano riscontrati, vanno trattati ognuno in modo adeguato. E se l’esito di questi accertamenti è negativo? Vi sono ancora altre possibili cause: bisogna continuare la ricerca. In particolare ce n’è uno, di cui parlerò in seguito, il ”nemico più nascosto”, più sfuggente e subdolo degli altri: è raro che ci si pensi; invece è piuttosto frequente ed è spesso la causa di molti insuccessi e sofferenze.

  1. Metabolismo tiroideo rallentato (ipotiroidismo funzionale)

Mentre l’ipotiroidismo primario è diagnosticabile con indagini cliniche piuttosto usuali, così non è per l’ipotiroidismo funzionale.

Comunque questo fattore lascia degli indizi che facilitano la sua scoperta: temperatura basale, pressione sanguigna e sagoma corporea.

Per i primi due si tratta di semplici test, che si possono fare da soli anche a casa. In quanto alla sagoma, in presenza di tale squilibrio è facile riscontrare un aumento di peso a gambe e glutei: la nota conformazione “a pera”.

Si parla di ipotiroidismo funzionale quando la tiroide è sana, produce i suoi ormoni nella giusta quantità; ma questi fanno fatica ad assolvere alle loro funzioni.

Le cause sono:

1) carenze nutrizionali di vitamine (A e D) e di minerali (ferro, selenio, zinco, rame e manganese);

2) deficit di cortisolo;

3) eccesso di cortisolo;

4) problemi nei recettori di origine genetica e da inquinamento ambientale.

Questo è un altro fattore che colpisce non poche persone. Spesso passa inosservato perché è più un problema funzionale che una patologia.

Infatti, nella maggior parte dei casi, i risultati dei valori tiroidei ottenuti, con le abituali indagini cliniche, sono nella norma. Ciò accade quando la tiroide non presenta problemi; ma gli ormoni prodotti  non funzionano come dovrebbero a causa della produzione di cortisolo da parte dell’organismo.

Faccio ora un esempio banale ma che può aiutare a comprendere questo concetto: immaginate una vigna che produce dell’ottima uva; con questa il contadino produce un buon vino. Tutti quelli che ne bevono lo lodano e, se ne bevono un po’ troppo, diventano brilli. Arriva però un altro contadino che per dispetto glielo annacqua.

Orbene, chi beve quel vino dice che non è affatto buono, forse si arrabbia con chi glielo ha venduto: ne può bere da scoppiare, ma non diventerà neanche allegrotto.

Era la vigna (tiroide) che era malata? NO.

Forse il vino prodotto con quell’uva (gli ormoni prodotti dalla tiroide) non era buono? NO.

Allora era colpa dell’acqua aggiunta? SÌ.

In realtà il vino annacquato è come un cattivo vino fatto con l’uva di una vigna che ha preso troppa acqua nel momento sbagliato.

Così gli ormoni di una tiroide sana, in presenza di cortisolo, funzionano come se la tiroide avesse dei problemi: gli effetti sono quasi identici a quelli che si verificano nell´ipotiroidismo primario.

La domanda è: ma come si produce cortisolo? Si produce quando si è sotto stress; infatti viene anche chiamato “ormone dello stress”.

Un eccesso di stress, e dunque di cortisolo, determina un rallentamento della trasformazione della forma inattiva del principale ormone tiroideo – il T4 – nella forma attiva – il T3.

Inoltre un affaticamento sulle ghiandole surrenali contribuisce all’ipotiroidismo “funzionale”, cioè quando gli ormoni vengono prodotti ma non funzionano come dovrebbero.

Il fatto è che non esiste una soglia dello stress uguale per tutti: uno stesso evento può essere vissuto come catastrofico da una persona e lasciare indifferente un’altra.

E come si spiega? Dipende dal benessere interiore.

Minore è la serenità d’animo e l’assenza di residui di traumi e microtraumi del passato, maggiore è la facilità a stressarsi.

Se vuoi puoi fare i seguenti due test:

Test temperatura basale e pressione sanguigna

Test del benessere psicofisico

  1. Lo stress

Stress è una parola inglese che significa sforzo, tensione. In medicina e in psicologia si riferisce ad un particolare stato: quello in cui si trova un organismo di fronte a pericoli e difficoltà percepite come minacce al suo normale equilibrio psico-fisico.

In realtà la vita è, per definizione, un succedersi di stress per il semplice fatto che “vita è movimento”. Ciò comporta che siamo di continuo esposti a cambiamenti.

Questi ci richiedono, per poter ritrovare il nostro equilibrio, sforzi di adattamento più o meno difficili ed importanti.

Ovviamente non tutti i cambiamenti sono vissuti come minacciosi: tutto dipende dalla valutazione che ne fa l’individuo in base alla loro potenziale pericolosità e alla propria capacità di farvi fronte.

Gli eventi/situazioni che vengono riconosciuti come potenziali minacce sono chiamati fattori di stress (stressori).

I fattori di stress possono essere sia fisici che psichici.

Sono fattori di stress fisico:

  • dolore fisico intenso o prolungato;
  • caldo o freddo estremi;
  • traumi o abusi;
  • infezioni e processi infiammatori.

Sono fattori di stress psicologico:

  • paura;
  • senso di sconfitta;
  • umiliazione;
  • delusione;
  • gioia estrema.

La cosa interessante è che il cervello non fa differenza tra minacce reali e minacce mentali (pensate o immaginate): mette sempre in atto la “reazione attacco/fuga” descritta da Walter Cannon nel 1920. Infatti, in alcuni casi, il timore di un’interrogazione a scuola può suscitare la stessa reazione che scatenerebbe la vista di un lupo inferocito.

Questa reazione è avviata dall’ipotalamo, in particolare dall’amigdala, che svolge un grande ruolo per quanto riguarda l’emotività individuale.

Quando siamo sotto un qualsiasi stress l’ipotalamo segnala la necessità di entrare in modalità “attacco/fuga”. E così prende il via una catena di reazioni che generano la produzione di cortisolo, adrenalina e noradrenalina.

Questi ormoni provocano i cambiamenti fisiologici da noi tutti sperimentati nei momenti di pericolo e difficoltà:

  • la respirazione si accelera;
  • il sangue viene deviato verso i muscoli di tutto il corpo che si tendono, pronti per la corsa e la lotta o le pupille si dilatano;
  • la consapevolezza si intensifica;
  • la vista si acuisce;
  • il battito del cuore accelera;
  • la percezione del dolore diminuisce;
  • il sistema immunitario si attiva maggiormente;
  • si controlla l’ambiente per non farsi sorprendere dal nemico.

Queste reazioni allo stress sono presenti in ogni individuo: sono genetiche perché progettate per la sopravvivenza della specie. Ma le situazioni stressanti non sono tutte uguali, né sono vissute da tutti nello stesso modo: l’impatto che avranno sulla persona dipende dalla durata, dall’intensità e dallo stato psicofisico individuale.

Lo stress è considerato:

–  acuto: se dura minuti o ore; si tratta essenzialmente di episodi isolati;

–  sub-acuto: se la situazione/evento non supera il mese;

–  cronico: se il fattore di stress perdura mesi ed anni.

Lo stress acuto corrisponde alla prima fase, detta di “allarme“, in cui l’organismo attiva le sue difese predisponendosi all’attacco o alla fuga; ma, appena sente il pericolo cessato, ritorna al suo normale equilibrio psicofisico: il corpo e la mente ritrovano la calma.

Ciò succede perché questo tipo di esperienza comporta un grande impegno fisico, particolarmente a livello muscolare. Ed è proprio grazie a questa attività fisica che l’organismo può liberarsi degli ormoni dello stress rilasciati e ritornare all’equilibrio precedente.

In questo caso lo stress è positivo, svolge la funzione affidatagli da Madre Natura: ci aiuta a difenderci dai pericoli e ad adattarci ai vari cambiamenti di cui è piena la vita. Tuttavia, nel tempo, alcuni adattamenti possono complicarci la vita ed essere fonte di difficoltà e sofferenze.

Lo stress sub-acuto corrisponde ad una seconda fase, detta di “resistenza e adattamento”: lo stato di allarme e la lotta per la sopravvivenza continuano. Ci può essere un parziale adattamento; ma con grande dispendio energetico e penalizzazione dell’organismo: prima fra tutte una sovrapproduzione di cortisolo che ha come conseguenza la soppressione delle difese immunitarie. Gli adattamenti parziali pesano, oltre che sul fisico, anche a livello psicologico con conseguenze comportamentali, disadattative, a livello affettivo-relazionale e sociale.

Lo stress cronico corrisponde alla terza fase detta di “esaurimento”: la resistenza si prolunga senza raggiungere un adattamento, ossia un nuovo equilibrio.

La cronicità dello stress produce l’esaurimento della ghiandola surrenale che diventa sempre meno in grado di produrre i suoi ormoni: ed ecco l’esaurimento.

Particolarmente grave per le sue conseguenze è  la soppressione del sistema immunitario.

Tra gli effetti collaterali della sindrome da stress vi sono:

– problemi d’insonnia e di sonno ristoratore;

– peggioramento dell’umore, fino alla depressione;

– problemi nella vita relazionale;

– insorgenza di malattie, anche gravi;

– “fame nervosa”, tristemente nota, che induce a mangiare  di continuo con tutte le conseguenze negative, tra cui  obesità e sovrappeso.

Abbiamo detto che gli stress acuti durano poco e l’equilibrio viene ripristinato appena il fattore di stress cessa.

Ci sono però dei casi in cui purtroppo lo stress si trascina anche a lungo. Questo accade quando allo stress acuto si sovrappone un altro fattore di stress meno intenso, ma più duraturo.

Basta pensare ai terremotati: come può sentirsi una persona fortunatamente sopravvissuta ad un terremoto, se non fanno che arrivare scosse di assestamento, anche se piccole?

Esiste anche il caso in cui una persona è vittima di una sequela di stress acuti… una specie di “Pasqualino Passaguai”: non farà mai in tempo a ripristinare il suo equilibrio psico-fisico ed avrà problemi simili a quelli dello stress cronico.

Ci sono poi alcuni  sofferenti di stress cronico, apparentemente ingiustificato, cui viene imputata fragilità “congenita” fisica o mentale. Si tratta invece di persone che si portano dentro gli esiti disastrosi di microtraumi infantili.

Questi  dolorosi episodi  possono essere caduti nel dimenticatoio dell’amnesia infantile oppure sembrare ormai privi d’importanza; invece sono emotivamente vivi: se continuamente riattivati da banali difficoltà ambientali, causano il logoramento tipico dello stress cronico.

Vedi : Surrene/Stress/Adattamento

  1. Microtraumi Infantili

Vediamo subito cosa s’intende con microtraumi infantili.

Sono eventi negativi piuttosto comuni, che però possono avere conseguenze dannose sul benessere psicofisico della persona per tutta la vita.

Si tratta di esperienze negative: una strillata, una risposta sgarbata, un ceffone, un epiteto, una critica, uno scherzaccio, un abbraccio rifiutato o non ricevuto; ma nessuna di esse è di per se stessa traumatizzante.

Sono “micro” perché prese separatamente, o vissute ad un’età diversa, o in altro contesto, sarebbero state esperienze di poco conto.

Perciò, la traumaticità è giudicabile solo a posteriori: è traumatico ciò che si rivela essere alla base di determinati problemi, limiti e sofferenze nel resto della vita.

In effetti, anche piccoli stress, se sono così continui da determinare il clima emotivo nel quale il bambino cresce, sono molto dannosi: si configura l’ambiente relazionale disfunzionale cronico che può portare fino al Disturbo Borderline di Personalità.

Possiamo quindi dire che i microtraumi infantili sono il nemico meglio nascosto per i seguenti motivi: la  loro presenza non è rilevabile con indagini cliniche; quelli della prima infanzia sono ben coperti sotto l’amnesia infantile; altri sono rimossi e non sono presenti nella memoria conscia; altri ancora restano in memoria, ma dissociati dalle emozioni.

In effetti in questi ultimi anni sono state condotte, in campo neuroscientifico,  molte ricerche sulla memoria. In particolare un gruppo di ricercatori della New York University ha messo in luce un fatto molto importante che riguarda l’amnesia infantile: i ricordi della prima infanzia non sono mai cancellati, tanto che particolari condizioni e associazioni possono riportarli a galla.

In realtà i danni generati dai microtraumi infantili sono ben mascherati dagli adattamenti cui, a suo tempo,  avevano dato luogo. Infatti le persone che ne soffrono sono convinte che i loro problemi e sofferenze dipendano da tutt’altro: da aspetti del loro carattere/personalità (timidezza, insicurezza, mancanza di coraggio, indole triste o introversa, suscettibilità, ecc), dalla sfortuna, dalla cattiveria degli altri e così via. Purtroppo questa convinzione fa sì che non si cerchino dei rimedi e quindi equivale ad una condanna a vita: per tutta l’esistenza dovranno affrontare il mondo con il peso di  sofferenze e problemi che potrebbero essere evitati.

Il fatto che i microtraumi infantili non siano individuabili con analisi di laboratorio sarebbe anche superabile mediante una diffusa informazione: verrebbero  riconosciuti  dai comportamenti irrazionali che originano.

A chi non è capitato di vedere uno stimabile adulto/a comportarsi in modo infantile in un certo tipo di occasioni?

E che dire di quelle persone, anche molto intelligenti, che sembrano non imparare mai dai propri errori? Penso, ad esempio, a coloro che continuano a scegliere partners “inadatti”: all’apparenza sembrano loro diversi, ma nel tempo si rivelano sbagliati sempre per lo stesso motivo.

Esempio reale. Una ragazza era disperata perché, dopo molti rapporti finiti male, le era successa una cosa terribile: aveva scoperto, ad un mese dal matrimonio, che il fidanzato era un ladro e un drogato. Tutti gli uomini delle sue storie avevano una cosa in comune: erano alti, con un bel sorriso e vestivano con giacca e cravatta come il padre che le era morto da bambina.

Qual era il motivo dei ripetuti fallimenti? In ogni uomo aveva cercato di ritrovare il padre: non guardava per il sottile, bastava che avessero lo stesso aspetto. Quindi le poteva capitare di tutto, infatti alla fine l’avevano delusa tutti perché prima o poi “scopriva” che  non erano  il padre.

Il peggio era che quelli che potevano andar bene di solito non la interessavano. Quelle poche volte che aveva provato a frequentarli per motivi pratici li aveva lasciati perché non era riuscita a tollerarli.

Ora, riconoscere i microtraumi come causa o concausa dei problemi da risolvere (nel nostro caso obesità e sovrappeso) consentirebbe di affrontarli nel modo più opportuno ed efficace.

Altro caso reale: una ragazza obesa e sofferente di depressione sin dall’infanzia risolse i suoi problemi con una seduta di ipnosi vigile.

Come? Durante la seduta si rivide e risentì in un utero che voleva liquefarla e si sentiva morire: in realtà la madre aveva avuto una minaccia d’aborto al terzo mese di gravidanza. Le avevano detto che era un vero aborto, ma che avrebbe dovuto finire di espellere tutto. Per evitare il raschiamento erano ricorsi a diverse antiche procedure. Per fortuna la bambina si era salvata, perché un’ostetrica aveva sentito pulsare il cuoricino e aveva subito interrotto ogni pratica.

Per i primi cinque anni di vita andò tutto bene; poi però venne messa in collegio e da quel momento cominciarono i dolori. Iniziò a ingrassare, la crescita rallentò fermandosi a nove anni, e si instaurò una depressione tale da farla considerare ritardata. Cos’era successo? Le emozioni di paura  e di annientamento vissute in utero per la tentata “espulsione” erano riaffiorate quando era stata messa in collegio: cioè “espulsa” di casa. Aveva vissuto perciò quell’evento in modo tragico, come un annientamento, mentre le altre novantadue sue compagnette erano vivaci e spensierate. Quella ragazza è ora un’universitaria brillante, abbastanza snella, ovviamente ancora di piccola di statura.

  1. Sviluppo del Sé, del carattere e della personalità

Sulla formazione di queste tre istanze i microtraumi infantili giocano un ruolo enorme. Questo perché il bambino ha caratteristiche fisiche, cognitive ed affettive molto diverse da quelle dall’adulto; ha quindi una percezione ed elaborazione dei “traumi” molto particolari e tutte proprie.

È opportuno tener presenti alcuni fatti, tra cui:

–  i traumi partono dal concepimento;

–  l’estrema dipendenza dei bambini;

–  il normale egocentrismo del bambino;

–  il  dualismo o manicheismo infantile;

–  lo sviluppo del sé, della personalità e del carattere sono in corso.

Vediamo questi punti in dettaglio.

I TRAUMI PARTONO DAL CONCEPIMENTO

Per individuare i microtraumi infantili , non possiamo partire dai 3 anni circa o comunque dalla maturazione della memoria autobiografica: pena l’impossibilità di comprendere ed aiutare persone con problemi che originano nel periodo antecedente.

In effetti, molte ricerche hanno dimostrato che siamo in grado di provare e ricordare emozioni risalenti non solo alla nascita, ma anche alla vita intrauterina.

I traumi risalenti a questo periodo della nostra esistenza sono difficili da trovare, perché sono unicamente nella memoria emotiva e totalmente inconsci. Di solito emergono quando si cerca aiuto per problemi affettivo-relazionali del presente; particolarmente nel corso di sedute   di psicoterapie ipnotiche o comunque non verbali.

Ecco un esempio reale: un ragazzo di 23 anni, Alessandro, si sentiva sempre in pericolo di morte e soffriva di continui attacchi di panico: cercava di stare il più possibile a casa, tutte le situazioni all’esterno lo terrorizzavano, specie se non abituali, perfino l’andare in macchina.

Infatti la madre ci aveva messo dei mesi per convincerlo a farsi accompagnare da me. Alla fine ci riuscì, ma dovette promettergli di restare per tutto il tempo della seduta in sala d’attesa pronta a soccorrerlo.

I genitori erano preoccupatissimi perché questo problema gli aveva già precluso cose importanti per la sua età: gli aveva impedito di frequentare l’università, di guidare, di trovarsi una ragazza, di frequentare amici, di lavorare fuori di casa. Fortunatamente i genitori avevano un’agenzia dove c’era molto lavoro da fare non a contatto con i clienti e lui svolgeva quello. Era già in sovrappeso perché appena tornava dal lavoro si metteva davanti al televisore smangiucchiando di tutto. E comunque, anche in ufficio non si faceva mancare le sue “prelibatezze”.

Ai genitori però piangeva il cuore vedere loro figlio vivere tra le mura di casa ed il retro del negozio. Senza parlare del fatto che lo vedevano sempre triste, insoddisfatto, impaurito e nervoso.

Durante la seduta di ipnosi vigile fu preso dalla paura, temeva di morire sul lettino, si sentiva venir meno, diceva che gli sembrava di avere un muro di ferro contro la testa,  si irrigidiva e diceva di volerlo sfondare. Ad un certo punto si rilassò ed emise un gran sospiro di liberazione e disse: “è passata, sono libero!”.

Aveva rivissuto la sua gestazione e la sua nascita.

Mi raccontò che sapeva che la mamma, prima di lui, aveva perso un bambino al quinto mese di gravidanza. E infatti la madre gli aveva sempre raccontato che, aspettandolo, aveva vissuto nell’

incubo che anche lui morisse. La cosa era stata aggravata dal fatto che anche mentre aspettava lui aveva avuto una minaccia d’aborto al terzo mese e le avevano dovuto fare il cerchiaggio.

La madre gli aveva più volte detto che quella paura di morire poteva avergliela trasmessa lei: parole al vento, non gli erano servite mai a nulla, la paura e le crisi erano continuate imperterrite.

Durante la regressione aveva risentito quella paura e l’aveva riconosciuta: era quella che sentiva alla sola idea di mettersi nelle situazioni che rifiutava, nonché all’inizio degli attacchi di panico.

Aveva anche risentito, e poi riconosciuto, il cerchiaggio: il muro di ferro.

Alzandosi dal lettino commentò: “bella differenza tra il saperlo e il viverlo sulla pelle! Beh comunque ora sono rinato ed è ora che cominci a vivere!”.

E lo fece davvero, me lo disse la madre quando circa 3 anni dopo la incontrai facendo un’interminabile fila al supermercato.

L’ESTREMA DIPENDENZA DEI BAMBINI

Tutti sappiamo che i bambini sono estremamente dipendenti:  lo sono al punto di fare dei propri genitori le loro “divinità”, quelle da cui dipende la loro sopravvivenza.  Per questo motivo, in tenera età, piccole esperienze  negative causate, quasi sempre involontariamente,  dai genitori o figure  facentene veci, vengono percepiti come terribili traumi. Questi, per poter andare avanti, richiedono degli adattamenti che verranno mantenuti per tutta la vita come si trattasse di una questione di vita o di morte.

Esempio della vita reale: Diana, una signora obesa sulla quarantina, non venne da me per problemi di peso: in effetti era già in cura da un dietologo, ma non riusciva a seguire la dieta. Venne perché era sull’orlo di un esaurimento nervoso: non riusciva a dir di no a nessuno. Al lavoro, in famiglia, parenti, amici e conoscenti le facevano continue richieste e lei “doveva accontentare tutti”.

Durante una seduta di ipnosi vigile regressiva rivisse un momento per lei tragico: i genitori erano arrabbiati, le tenevano il muso e non le parlavano perché non aveva voluto mangiare il minestrone.

Lei aveva 4/5 anni e si sentiva spaventata a morte perché pensava di aver perso l’amore dei genitori. Si sentiva persa, smarrita e impaurita: la sua vita non era più al sicuro se loro non l’amavano più .

Raccontò poi che le era riaffiorato alla mente tutto l’episodio a cui non aveva più pensato: aveva tenuto duro con grande coraggio un giorno e mezzo, poi aveva mangiato il minestrone (lo stesso del giorno precedente). I genitori erano tornati come prima.

Capì perché era stata una bambina ed una persona “eccezionalmente buona”: una volta “scampato il pericolo” aveva pensato bene di evitare di riprovare quella paura non contrariando più i genitori. Questa tattica diede ottimi risultati: diventò una bambina molto obbediente di cui i genitori andavano fieri.

Così continuò ad utilizzarla anche da adulta… con il risultato che l’aveva portata a chiedere aiuto.

Durante la seduta si rese conto:

– che i genitori non avrebbero mai smesso di amarla;

– che per lei bambina di 4/5 anni era vitale essere sicura del loro amore;

– che lei stava agendo con tutti come se fossero i suoi genitori e lei la bimba di allora;

–  di aver sentito che “accontentare tutti” era stata per lei una questione di vita o di morte;

– che ormai era una donna autosufficiente, di valore, con cui nessuno taglierebbe i ponti per un semplice rifiuto;

– che se qualcuno lo facesse non sarebbe poi la morte di nessuno …

Fu così che riuscì a seguire la dieta prescrittale dal dietologo. Il motivo? Non sentiva più il bisogno di rimpinzarsi ogni volta che le toccava fare favori controvoglia: semplicemente non ne faceva più, in tutta serenità. Le veniva ormai spontaneo dire dei no con cortesia e in tutta tranquillità.

Circa un anno dopo mi telefonò per gli auguri di Natale e mi diede la bella notizia che aveva perso 25 kg, diceva di essermi molto grata perché finalmente aveva “cominciato a vivere” ed era felicissima.

IL NORMALE EGOCENTRISMO DEI BAMBINI

In effetti  tutti conosciamo l’ egocentrismo infantile: i bambini, nel bene e nel male, riconducono tutto a loro. È stato però  studiato, con ricerche sul campo,  da Jean Piaget che ne ha messo in luce i modi in cui esso  si manifesta nel linguaggio e nel pensiero infantile. 

Caso reale: Rosaria, una signora di 45 anni, faceva una vita d’inferno, specie al lavoro. Ogni volta che qualche superiore le faceva un’osservazione si sentiva malissimo: aveva crisi di panico, insonnia e voglia di farla finita. Durante una seduta di ipnosi vigile regressiva rivisse un episodio di quando aveva 4 anni: lei aveva fatto degli scarabocchi su una parete; poi suo padre era tornato a casa, aveva litigato con la madre e se n’era andato; lei gli era corsa dietro promettendo che non l’avrebbe fatto più ma lui se n’era andato lo stesso.

Lei ricordava l’episodio, ma non gli aveva mai dato importanza.

Invece, rivivendolo, fu sorpresa di quanto l’emozione di allora fosse ancora viva dentro di lei.

Rivide la madre piangere e sentiva che il padre se n’era andato per colpa sua: perché aveva scarabocchiato il muro!

Era piena di sensi di colpa, disperata, perduta, impotente.

Fu così che sentì, e capì, che da allora aveva vissuto come “la colpevole” e che per sentirsi al sicuro aveva bisogno di dimostrare che non lo era: “doveva” essere perfetta. Era per quel motivo che ogni minima osservazione, specie se fatta dai suoi superiori, la colpiva tanto. Ed era anche la ragione per cui sentiva che tutti davano sempre la colpa a lei: riemergeva il senso di colpa e soprattutto l’angoscia provata nella convinzione che il padre e la madre non le volessero più bene per quel che aveva fatto e causato. Per cui, per sentirsi al sicuro doveva convincere tutti, con ogni mezzo,  della sua innocenza.

Quando non poteva farlo, come spesso accadeva con i superiori, veniva presa dal panico.

Questa signora teneva molto al suo aspetto e riusciva a mantenersi più o meno in linea. Otteneva questo risultato così: dopo ogni abbuffata faceva un digiuno e, se lo rompeva, ricorreva  ai lassativi. Il problema era che sentiva spesso il bisogno di consolarsi con qualcosa di buono: sia a casa che al lavoro. I colleghi “ce l’avevano tutti con lei”, qualunque cosa succedeva dicevano sempre che era colpa sua: così non faceva che litigare, discutere… e mangiare.

Grazie a questa seduta si rese conto di non essere presa di mira da tutti, ma era lei che sentiva così. Capì inoltre che non riusciva ad ammettere di aver torto per tutto l’oro del mondo: e quindi era costretta a difendersi ad oltranza… “una vita d’inferno”…

Eliminato il senso di colpa lasciò lo studio sentendosi “libera e leggera”. Quando tornò il mese successivo per il controllo mi disse che il suo rapporto con il cibo e con gli altri era diventato sereno e soddisfacente. Mi confessò di essere ancora stupita; era un episodio di quando era molto piccola, che lei neanche ricordava; non si capacitava di come avesse potuto condizionarle la vita così tanto.

IL DUALISMO (MANICHEISMO) INFANTILE

Per i bambini non esistono le vie di mezzo. Esistono solo i due opposti: bianco-nero, bello- brutto, buono-cattivo, mi ama-non mi ama ecc.. Sul piano affettivo questa caratteristica infantile produce tanti danni ed è spesso causa di microtraumi.

Ecco un caso reale: Domenica, una signora di 52 anni, depressa e in sovrappeso, si sentiva molto infelice. Si descriveva come vittima incompresa sia a casa che sul lavoro: non faceva che piangere e consolarsi mangiando dolci.

Diceva che nessuno l’aveva mai amata da piccola e nessuno l’amava ora, neanche il marito ed i suoi due figli. Si chiedeva spesso cosa ci facesse al mondo.

Durante una seduta di ipnosi vigile rivisse un episodio di quando aveva 5 anni.

Stava con i genitori e la sorella di 2 anni più grande in un negozio di abbigliamento. Erano lì per comprare un cappottino per la figlia più grande. Lei si era innamorata di un vestitino rosso.

Voleva a tutti i costi che glielo comprassero e così armò un capriccio spaventoso: il padre lo interruppe con un bel po’ di sculacciate. Invece, la madre, per calmarla, le prometteva di darle un vestitino bellissimo al ritorno a casa.

In effetti, appena rincasati, la madre andò all’armadio, tirò fuori un vestito bianco e rosso e le disse: “Ecco, questo è il tuo, vedi quant’è bello?”. Era un vestito della sorella!

Lei iniziò di nuovo a piangere ed a strillare: “Non lo voglio, è vecchio!”. La madre le disse: “Allora lo rimettiamo nell’armadio!” e andò in cucina a preparare la cena. Lei si rifiutò di mangiare e se ne andò a letto a piangere. Sentì che per lei quella era stata la prova del nove: lo aveva temuto da sempre, ma quel giorno ne fu sicura, era arrivata la conferma: “A lei comprano i bei vestiti perciò amano lei, quindi non gliene importa niente di me, mi daranno via”. Lo pensava e temeva da tanto, perché vedeva che sua sorella era “più brava” di lei in tutto, i genitori parlavano sempre con lei e le compravano sempre tutte cose nuove, mentre a lei davano solo roba vecchia.

Da allora aveva smesso di chiedere, aveva accettato i vestiti vecchi della sorella in silenzio: era diventa una bambina brava e buona, ma chiusa e solitaria.

In quella seduta sentì che da bambina pensava che i genitori se amavano la sorella automaticamente non amavano lei; si era sentita vuota, come se non ci fosse più.

Si rese conto invece che la madre e il padre l’avevano sempre amata, solo che erano poveri, avevano pochi soldi; e sentì  che non ne parlavano mai per non caricare loro, figlie, di quel peso.

Capì inoltre che la sorella da piccola non era più brava di lei in tutto: era solo più grande e per quello stesso motivo i genitori le parlavano di più.

Sentì la loro sofferenza quando non potevano darle ciò che desiderava. Ricordò che tentavano di consolarla dandole in cambio ciò che potevano; ma lei non apprezzava nulla perché non era ciò che voleva: anzi, si convinceva sempre più nell’idea che ormai non l’amavano e perciò non la capivano.

Tutte queste scoperte la fecero commuovere, si senti leggera e felice, pronta a riconoscere anche l’amore dei figli e del marito.

Quando tornò per il controllo mi disse che  la sua vita era più piena e soddisfacente e non sentiva più il bisogno di riempirsi di dolci: aveva già perso 5 kg. mangiando normalmente, a pasto, senza nessuna restrizione. Per lei obesità e sovrappeso non erano più un incubo.

LO SVILUPPO DELL’IDENTITÀ, DELLA PERSONALITÀ E DEL CARATTERE È IN CORSO

Questo è un punto molto importante. Infatti è causa della maggior parte delle incapacità di affrontare e superare i piccoli e grandi problemi quotidiani.

Il bambino non sa chi è, né che aspetto ha. Quest’ultimo problema è  risolto presto e facilmente dagli specchi; al primo, invece, provvedono gli occhi, le parole e il comportamento delle persone che lo accudiscono. Infatti anche l’idea di chi siamo ce la formiamo per “rispecchiamento”: sono gli altri che ci fanno da specchio. La mamma guarda compiaciuta il suo bambino, con gli occhi che le brillano dal piacere e dice: “quanto sei bravo!”. Il bambino si sente bravo e comincia a formarsi questa immagine di sé… “io sono bravo”.

Numerose ricerche hanno messo in evidenza che i bambini già alla nascita provano sensazioni/emozioni che vengono memorizzate. Alcuni sostengono che ciò avvenga già durante il periodo intra-uterino.

E non solo, già verso 3/4 mesi il bambino riesce a riconoscere le emozioni altrui e a rispondervi in modo adeguato. A 12 mesi usa le espressioni facciali dell’adulto come informazione per decidere come comportarsi in situazioni di incertezza.

Appare evidente quanto la competenza emotiva sia precoce e preceda di molte lunghezze quella cognitiva. Ciò non è così ovvio, ci sono voluti fior di ricerche per appurarlo e dimostrarlo.

Quanti di noi, in alcune particolari situazioni, ci siamo comportati come se il piccolo non ci fosse, pensando: “tanto ancora non capisce niente“?

E infatti i problemi psicologici risalenti al periodo pre-verbale sono molto numerosi, più difficili da riconoscere e da eliminare: sono spesso scambiati per aspetti del carattere e della personalità, iscritti nel DNA. In realtà, per lo più, sono frutto del rispecchiamento e delle modalità di comprensione ed elaborazione delle esperienze tipiche del cervello infantile. Lo stesso Freud diceva che le patologie risalenti al periodo pre-verbale non erano analizzabili.

Ora, grazie a tecniche terapeutiche non basate interamente sul linguaggio, il trattamento di questi casi è diventato possibile.

Esempio reale: Fernando, un signore sulla cinquantina, non “venne” da me, ci fu letteralmente “mandato” dalla moglie: era l’estremo tentativo per evitare la separazione.

La prima volta che lo ricevetti mi mise al corrente della sua situazione matrimoniale. Mi disse che la moglie gli riconosceva di non far mancare nulla alla famiglia, di essere un marito fedele, di non aver alzato mai le mani sui figli: fino a poco tempo prima bastava una sua occhiata perché loro obbedissero.

Mi raccontò che quando lui e sua moglie  si erano conosciuti, a lei piacevano la sua serietà ed il suo senso di responsabilità. Gli diceva che con lui si sentiva al sicuro come non mai, che aveva finalmente trovato il suo ideale di ragazzo serio.

Lui, da parte sua, si era innamorato della moglie per la sua allegria, vivacità, sorriso e risata pronti: vicino a lei si sentiva bene, più leggero e tranquillo.

Le cose fra di loro erano cominciate a cambiare dopo il matrimonio ed erano sempre più precipitate dopo l’arrivo dei figli.

Ora lei lo accusava di farla sentire soffocata e sempre meno vitale.

In realtà lui si rendeva conto di essere ansioso, previdente ed apprensivo. Il problema era che non riusciva a fare altrimenti perché in fondo sentiva che quella era la cosa migliore da farsi; ma la moglie diceva di non poterne più. Era sempre nervosa, ammusata, non le andava più bene niente di lui. Gli rimproverava di essere sempre serio, preoccupato e di farli vivere nell’incubo di ipotetiche catastrofi di tutti i tipi.

Lui riconosceva che benché fossero in una situazione economica discreta, non permetteva alcuna spesa superflua e tantomeno futile.

Venne fuori che era molto tirato con viaggi, vacanze, giochi, abbigliamento ecc.. Ammise anche di essere sempre stato molto apprensivo: non aveva mai lasciato andare da sola la moglie e tantomeno i figli; accompagnava sempre tutti e, se poteva, restava con loro.

Finché i figli erano stati piccoli era andata abbastanza bene. Ora che erano diventati adolescenti, la casa s’era trasformata in un inferno. La moglie s’era alleata con Ioro che pretendevano di fare la stessa vita dei loro compagni: volevano uscire da soli, a tutte le ore, compresa la notte; chiedevano la moto, abbigliamento griffato, denaro e così via.

Erano litigi continui. La vita stava diventando invivibile. La moglie voleva addirittura separarsi, ma lui non voleva, ed ecco perché aveva accondisceso a fare un tentativo con la psicoterapia.

Una parte di lui sentiva che doveva “essere di manica più larga”, ma proprio non ci riusciva. Il problema era che sentiva sempre che se avesse mollato un po’ sarebbe successo l’irreparabile: lui “doveva” proteggere la sua famiglia in tutti i modi, per evitare la tragedia totale.

Nella sua seduta di Ipnosi Vigile Regressiva si rivide di tre mesi, in braccio alla madre mentre prendeva il latte; si sentiva beato. Poi aveva squillato il telefono, la mamma l’aveva rimesso nella culla, era andata a rispondere, aveva lanciato un urlo, era scoppiata a piangere ed era uscita di casa di corsa. Lui restò abbandonato e piangente nella culla.

Ebbe anche due flash. Nel primo era più grandino, 3 anni circa, e la madre piangeva mentre lo vestiva. Nel secondo lui tirava la madre per il maglione, lei gli toglieva la mano e la zia lo portava via dicendo: “lascia stare mamma, che è stanca”.

Comprese subito di  aver rivissuto il momento in cui sua madre aveva ricevuto la notizia dell’incidente mortale del marito. Si rese anche conto di non ricordare di aver mai visto sua madre sorridere. Ricordò però che l’aveva spesso vista piangere. Non si era mai più ripresa.

Ricordò anche una zia, sorella della madre, che per alcuni anni era andata ad abitare da loro. A lui da piccolo questa zia non piaceva, perché gli impediva sempre di andare a giocare dalla madre. Era stato contento quando s’era sposata ed era andata a vivere in America.

Ora capiva che aveva aiutato la madre e loro bambini in un momento molto difficile.

Raccontò che durante la regressione si era sentito dentro un malessere che gli invadeva l’intero corpo, tanta confusione, disperazione e impotenza. Era colpito soprattutto dalle emozioni provate.

Aveva sempre saputo che gli era morto il padre quando era ancora lattante e che la madre non si era mai più ripresa. Quello che non immaginava era di aver provato quelle emozioni e  che esse fossero ancora così vive e forti dentro di lui.

Gli fu chiaro che la notizia della morte del padre mentre succhiava beatamente il latte era stata per lui il crollo del suo mondo: non aveva più ritrovato la mammella ed il calore del corpo della madre; da allora aveva respirato dolore e tristezza; aveva sofferto per la sua incapacità di far star meglio la mamma, s’era perfino convinto d’essere lui la causa della sua infelicità.

Si rese conto che dal momento della morte improvvisa del padre era vissuto con una spada di Damocle sulla testa: il benessere non dura, all’improvviso arriva la tragedia irreparabile; l’unica cosa è fare di tutto per evitarla o, quantomeno, essere pronti per arginarla.

Sentì molta compassione per la madre: con dolore concluse che anche la sua incapacità di superare il trauma aveva contribuito a rovinargli la vita.

Appena terminato di fare questa sofferta considerazione, mi guardò dritto negli occhi con lo stupore dipinto sul viso e mi disse: “ma io non sto proteggendo la mia famiglia! Anzi, sto rovinando la vita ai miei figli e a mia moglie”.

Capì il malumore e l’insoddisfazione di lei, ne apprezzò la pazienza e l’amore che le avevano permesso di riuscire a sopportarlo fino a quel momento. Comprese anche le richieste dei suoi figli, e mi salutò convinto che da quella porta stava uscendo un nuovo uomo, un nuovo padre ed un nuovo marito.

IL NEMICO N. 1 PER ECCELLENZA, OCCULTO E SOTTERRANEO

A questo punto è facile che abbiate già intuito qual è il nemico numero uno.

In realtà non lo è solo delle persone obese o in sovrappeso, lo è di noi tutti.

Si tratta degli esiti dei microtraumi infantili, ovvero del tipo di identità che ci costruiamo e delle relative strategie  di sopravvivenza con  le quali, in genere, viviamo per il resto della vita. Parlo degli “adattamenti infantili aberranti”.

Il superamento di ogni trauma, o microtrauma, lascia una traccia, o adattamento, sia nel fisico che nella mente.

C’è un esempio, di dominio pubblico, che testimonia lo stretto legame tra corpo, mente ed emozioni: il portamento ricurvo ed accasciato del depresso, espressione delle sue emozioni autosvalutative e delle sue idee intrise di pessimismo.

Gli adattamenti fatti nell’infanzia dipendono sia dalla dotazione genetica che dai limiti e dalle particolarità del cervello infantile.

Poiché i bambini non conoscono le mezze misure, il numero di scelte che hanno per superare i traumi è ridotta a due (dualismo infantile).

La scelta tra le due dipende in parte dall’ambiente, ma principalmente dalla dotazione genetica in particolare di adrenalina e noradrenalina.

Rivediamo ad esempio i casi citati.

                                 

Quindi, il risultato finale degli adattamenti sull’identità, il carattere e la personalità di ognuno di noi dipende da:

1) come l’ambiente li ha gestiti;

2) l’interazione dinamica dei vari adattamenti compresenti;

3) la forza con la quale ognuno di essi è in grado di condizionare una vita.

CONCLUSIONI

Come c’entra tutto questo con le cause dell’obesità/sovrappeso? E con la difficoltà nel seguire una dieta o semplicemente uno stile alimentare non dannoso per la salute?

Semplice, dipende dalla nostra “carta d’identità interiore”, cioè da chi e come sentiamo di essere: ovvero da come si è sviluppato il nostro SÉ.

I traumi e microtraumi durante l’infanzia producono degli adattamenti molto rudimentali. Quel che è peggio è che restano inalterati nel tempo, cosicché se potevano essere d’aiuto all’inizio, nell’età adulta si trasformano in disadattamenti che causano problemi sia psichici che somatici.

Alessandro, Diana, Rosaria, Domenica e Fernando erano tutti vittime di un adattamento, “cristallizzato”, causato da un trauma infantile.

Ma perché avevano tutti problemi con il peso? Perché  c’era nella loro identità una definizione di sé che li costringeva ad agire in modi contrari al loro benessere. Ciò li rendeva anche più vulnerabili e sensibili perfino davanti a piccole difficoltà e contrarietà della vita quotidiana: il che  causava loro un’esistenza piena di  emozioni dolorose e molto stressanti.

I ripetuti stress provocavano continue rotture del loro equilibrio, e conseguente bisogno di difendersi (la reazione attacco/fuga) e consolarsi.

In effetti entrambi portano allo stesso esito: mangiare, mangiare e poi mangiare.

Infatti fin dall’inizio della nostra vita la soddisfazione orale è il mezzo di consolazione per eccellenza: basti pensare all’uso del ciuccetto per placare il pianto dei bambini e successivamente a quello delle caramelle. Da grandi si svaligiano dispensa e frigorifero, si arricchiscono bar, pasticcerie, gelaterie, rosticcerie, pizzerie e ristoranti.

Il bisogno di difendersi, con la conseguente reazione di attacco/fuga, fa produrre, tra l’altro, il cortisolo, l’ormone dello stress; questo provoca… fame, con le immaginabili conseguenze. E non solo! Il cortisolo induce l’aumento della glicemia; quindi l’attivazione della produzione di insulina.

É questo un ulteriore danno per la linea perché questo ormone è il principale responsabile dell’ ingrassamento: è proprio lui che riempie il tessuto adiposo di grassi.

Ed ecco il tracciato “sotterraneo” causa di tanti problemi, ivi compreso obesità /sovrappeso:

1)    evento traumatico o microtraumatico durante l’infanzia (spesso nascosto sotto l’amnesia infantile);

2)   memorizzazione delle emozioni suscitate dal trauma;

3)   percezione dello stress e dell’emozione negativa, e sviluppo dell’adattamento infantile;

4)   evento che minaccia l’adattamento infantile;

5) reazione di attacco/fuga con produzione di cortisolo, adrenalina e noradrenalina e  successivamente di insulina;

6)  fame incontenibile di cose buone (zuccheri e grassi), dovuta al cortisolo ed al bisogno di consolazione;

7)  aumento di peso grazie al cibo mangiato e all’insulina che ha riempito di grassi le nostre cellule adipose.

Vediamo questa sequenza in atto.

Immaginiamo una persona, Sabrina, che convive con l’identità di “non amata” e con l’adattamento “la brava” per guadagnarsi l’amore e sentirsi al sicuro.

Una mattina la sua Dirigente l’accoglie dicendo: “Ho visto che ancora non mi ha fatto la lettera che Le ho dato ieri”.

La sua collega Olga risponderebbe in tutta serenità: “Mi scusi, non ho proprio fatto in tempo, fra mezz’ora sarà sul suo tavolo”.

La povera Sabrina, invece, si sente come se avessero minacciato la sua vita. Si allerta e si altera: comincia ad accampare mille “buone” ragioni per cui non ha fatto la lettera. Risultato finale: un’accesa discussione di buoni venti minuti tra le due.

Il problema è che la dirigente esce semplicemente urtata; Sabrina, invece, distrutta: si sente incompresa, accusata ingiustamente, non apprezzata, in pericolo.

Sta subito anche fisicamente male: la testa vuota, il cuore a mille, fiato corto, tutto il corpo rigido come impietrito e ricorre ai suoi tranquillanti. Appena a casa accende la tele, fatica a seguirla, ogni dieci minuti fa un viaggetto al frigorifero da cui torna con le “provviste”. Prende il suo sonnifero e va a letto; ma ciò nonostante la notte non riesce a dormire.

Il giorno dopo è a pezzi, ancora un po’ rigida, sconvolta e non fa che rimuginare sull’accaduto.

Con questo adattamento infantile di “brava”, necessario per sentire la sua vita al sicuro, potrebbe mai Sabrina portare avanti una dieta? Sarebbe in grado di osservare uno stile alimentare salutare?

Individuare e quindi poter veramente eliminare problemi di questo tipo è tutt’altro che facile: eppure in molti casi è il presupposto per recuperare definitivamente la linea, la salute e la gioia di vivere, sconfiggendo non solo obesità e sovrappeso.

In realtà, gli adattamenti infantili disadattativi non costituiscono un problema solo per il peso: funestano in vari modi la vita di numerose persone del tutto ignare.

Ma se sono tanto comuni perché è ancora difficile individuarli?

Perché vengono, con convinzione, attribuiti a tutt’altre cause: al carattere e alla personalità come se facessero parte del DNA, alla sfortuna , alla cattiveria degli altri ecc..

E perché sono tanto comuni? Perché sono frutto della società in cui viviamo, degli “scherzacci” che ci fa il nostro cervello da bambini e della straordinaria memoria del genere umano.

Tutti sappiamo, per esperienza, che i “cuccioli d’uomo” sono molto fragili e dipendenti ed hanno uno strano, ma tipico modo di vivere le situazioni e d’interpretare i fatti. È così che, da piccoli, soffriamo intensamente e veniamo feriti “a morte” da episodi che da adulti non ci toccherebbero proprio; o, quantomeno, supereremmo con facilità, e certamente non resterebbero in modo indelebile dentro di noi.

È invece ciò che accade perfino con i “piccoli” traumi vissuti nell’infanzia: apparentemente perdiamo il ricordo del fatto; ma le emozioni di allora restano conficcate come spine nelle nostre carni: il nostro benessere psicofisico viene così compromesso.

In tal modo, ogni volta che la vita ci mette in situazioni che suscitano quel tipo di emozioni che avevano causato l’adattamento, le spine ricominciano a farci sanguinare. È questo il motivo per cui alcuni soffrono molto più di altri nelle stesse situazioni: più sono le “spine”, più spesso ed intensamente si soffre.

Come mai al giorno d’oggi il problema dell’obesità/sovrappeso sta dilagando?

1) perché la vita frenetica, difficile e competitiva di oggi penalizza sempre di più le persone minate da adattamenti infantili disadattativi; ne evidenzia in modo spietato limiti e problemi;

2) perché con lo stile di vita di quest’ultimo cinquantennio, sempre più frettoloso e congestionato, il “cervello infantile” ha molte più occasioni di comprendere male; per cui elabora un numero sempre più crescente di adattamenti psicofisici;

3) perché il maggior benessere e la grande disponibilità alimentare facilitano l’appagamento del bisogno di placare rapidamente la fame, nonché quello di consolarsi con i cibi preferiti.

Cosa fare, allora?

L’ideale sarebbe quello di ricostruire una società meno stressante, più a dimensione umana e più rispettosa della natura e dell’ambiente.

Ma ciò va al di là delle possibilità del singolo.

E quindi?

Quello che ognuno può fare, per combattere obesità e sovrappeso, è avere per il proprio stato interiore e la propria salute almeno la stessa cura ed attenzione che nutre per quello esteriore.

Comincia testandoti il benessere psicofisico!

TESTATI IL BENESSERE PSICOFISICO

Per approfondimenti:

TRAUMA PSICOLOGICO E DPTS e DBP

http://www.igorvitale.org/2016/08/07/cosa-e-veramente-il-trauma-psicologico-definizione-significato/

TEST DELLA TEMPERATURA DI BARNES

http://www.drvergini.it/barnes/

AMNESIA INFANTILE

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http://news.doccheck.com/it/1687/amnesia-infantile-quei-primi-ricordi-annebbiati/

REAZIONE DI ATTACCO/FUGA

https://www.disputer.unich.it/sites/st13/files/allegatiparagrafo/13-05-2016/surrene_stress-adattamento.pdf

INSULINA

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MEMORIA EMOTIVA

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STRESS

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CORTISOLO E STRESS

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MEMORIA DELL’EMBRIONE E MEMORIA CELLULARE

https://www.psicoanalisi.it/psicoanalisi/7117

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http://www.generazionebio.com/notizie/7014-ricordi-traumatici-memoria-cellulare.html

http://www.psicoluce.it/la-memoria-dellacqua-e-la-vita-intrauterina/

https://www.fisicaquantistica.it/fisica-quantistica/memorie-cellulari