I veterinari hanno tutta la mia simpatia, ammirazione e gratitudine: hanno salvato due volte la vita della mia Lilù (jack-russel).
Certo, il loro lavoro non è tutto rose e fiori, specie nelle zone depresse, dove debbono sopportare dolore psichico e frustrazioni. Inoltre, molti di loro non hanno il riconoscimento sociale ed economico che meriterebbero.
Mi permetto però di far notare che diverse sono le categorie soggette a difficoltà e frustrazioni.
Gli psicologi-psicoterapeuti, ad esempio, fanno anch’essi un lavoro che mette a dura prova: come loro sono penalizzati a livello sociale, economico e di realizzazione personale. Infatti, almeno in Italia, molti considerano il loro lavoro pressoché inutile e fonte di vergogna per chi ne usufruisce. Inoltre, vantano il primato del reddito più basso tra i professionisti; ma non quello dei suicidi. Come mai? Forse perché debbono fare un percorso psicoterapeutico come parte della loro formazione?
Il problema dei suicidi tra i veterinari ha assunto una rilevanza tale da essere portato allo studio degli esperti. E questi hanno riconosciuto l’esistenza del problema, raccomandando ai veterinari, come prevenzione, di praticare la meditazione e diversificare gli interessi: in realtà, con lo stress della vita di oggi, meditazione e hobbies farebbero bene a tutti.
Mi chiedo però se il triste primato dei veterinari non possa collegarsi agli stessi tratti di personalità che ne determinano la scelta professionale: se così fosse, meditazione e hobbies potrebbero non bastare.
Si sa che la virtù sta nel mezzo, e ogni eccesso provoca danni. Ad esempio, una buona dose di empatia e di sensibilità fa di un veterinario un veterinario bravo: ma troppa sensibilità ed empatia può rendere la vita insopportabile.
Gli eccessi in campo emotivo rendono vulnerabili sia fisico che psiche. Sappiamo che carattere, personalità e salute fisica dipendono in gran parte da fattori costituzionali; ma sappiamo anche che l’ambiente determina se e come la dotazione genetica prenderà forma o si attualizzerà.
Di solito il fattore scatenante i disturbi di personalità e i problemi emotivi in genere sono i traumi subiti nel passato, specie nell’infanzia.
E non sono dannosi solo eventi palesemente traumatici. Vi sono dei traumi, detti microtraumi psicologici, che possono rivelarsi dannosissimi per il benessere psico-fisico. Sono “micro” perché originati da eventi e situazioni molto comuni che – prese separatamente o vissute in altra età o contesto – sarebbero state esperienze irrilevanti. Posso citare ad esempio: aver avuto dei bravi genitori, ma poco espansivi, piuttosto severi e critici, con aspettative molto alte; l’arrivo di un fratellino o una sorellina; essere stato preso in giro da compagnetti; aver subito continui dispetti e ingiustizie; aver avuto difficoltà scolastiche; essere vissuto con genitori in litigio continuo, ecc..
Insomma: un rimprovero, un mancato abbraccio, uno schiaffo, un’offesa, una critica, uno scherzaccio, un litigio tra genitori, sono esperienze negative; ma non necessariamente traumatogene: è il loro ripetersi e l’età in cui esse avvengono che le rendono tali.
L’età in questo contesto assume una sua particolare rilevanza per i seguenti motivi:
– la lentezza con cui l’intelligenza umana giunge a maturazione: ciò fa sì che molti fatti vengano travisati e stravolti nell’infanzia e perfino nell’adolescenza;
– l’appartenenza ad una specie neotenica: il che significa che il cervello umano, avendo un’infinità di neuroni, non elimina nessun ricordo. Il problema sta nel fatto che li trattiene tali e quali a come vi sono entrati, a meno che non vengano rielaborati successivamente;
– l’estremo stato di dipendenza e mancanza di difese che rende a lungo i piccoli umani particolarmente fragili e vulnerabili;
– l’estrema ricettività del cervello in età evolutiva, che comprende anche le emozioni: il che spiega l’eredità psicologica, in grado di tramandarsi per generazione, a meno che non vi si ponga rimedio. Ho visto molti pazienti soffrire di ansia, senso di colpa, complesso d’inferiorità ecc., che in realtà appartenevano ai genitori o addirittura a generazioni precedenti.
Ma c’è di peggio. Queste peculiarità del cervello umano fanno si che possano diventare traumatogene delle esperienze oggettivamente normalissime.
Non dimenticherò mai una paziente i cui grandi problemi risalivano ad una frase che la madre soleva dirle quand’era piccola: “amore, ora la mamma va via perché deve fare delle cose importanti”. La madre andava a lavorare, dopo aver giocato a lungo con la sua piccola…; ma lei aveva capito: “tu non sei importante, tutti sono più importanti di te”. E aveva così sviluppato un grosso complesso di inferiorità.
In effetti i microtraumi psicologici sono quelli che fanno più vittime: sono subdoli e inafferrabili senza un aiuto, funestano la vita di gran parte dell’umanità. Sono subdoli perché le persone, ignare, ne soffrono, ma attribuiscono problemi e malessere a tutt’altra causa. I comportamenti riferibili ai danni originati dai microtraumi vengono solitamente attribuiti al carattere, alla personalità, alla sfortuna, alla cattiveria del mondo.
Certo, i fattori genetici hanno un peso su quanto può essere grave il danno su personalità e caratteri in formazione; come pure sul modo di un individuo di affrontare la vita. Ma è altrettanto vero che, in assenza di quei traumi, i danni non vi sarebbero stati e la capacità di gestire la vita sarebbe stata migliore. E questo è vero per tutti, veterinari compresi. E se i veterinari sommassero ad una dotazione genetica traumi e/o microtraumi inconsci, e avessero inconsapevolmente scelto il proprio lavoro per riparare se stessi?… Fosse questa la spiegazione del triste primato dei veterinari, un percorso di liberazione dai traumi del passato sarebbe la vera soluzione.
E, in realtà, tutti trarremmo benefici da una “bonifica psicologica” dai danni legati ai traumi del passato.
Questa “bonifica” sarebbe molto utile in preparazione di particolari momenti di passaggio. Penso al periodo pre-matrimoniale o pre-accoppiamento e a quello precedente l’arrivo dei figli. Una sorta di parent training di base rivolto a tutti e non solo a genitori con figli problematici.
Perfino le parrocchie preparano cristianamente i propri fedeli ad affrontare questi importanti cambiamenti: non sarebbe quindi giusto che vi fosse anche una preparazione laica, per “ripulire” l’inconscio dalle emozioni negative? Sono queste che portano alla rottura dei matrimoni; al danneggiamento della vita dei figli che le ricevono in eredità insieme all’aria che respirano; nonché al suicidio come soluzione estrema, anche di fronte a difficoltà che per altri estreme non sono.
Gentile dottoressa,
ho letto questo articolo e l’ho trovato interessante, ma non sono molto d’accordo con quello che vi trovo scritto.
Certamente nell’opinione pubblica italiana la considerazione per gli animali domestici è inferiore a quella che troviamo in molti altri paesi, e quindi la gratificazione di chi lavora per la loro salute e il loro benessere non è la stessa dei colleghi medici: ma posso testimoniarle che dai padroni dei miei piccoli assistiti riceviamo comunque apprezzamento e gratitudine.
In particolare in questa epoca di ristrettezze dovute al Covid: per molte persone, durante il lockdown, la vicinanza dei nostri amici a quattro zampe è stata determinante, specie per chi non ha una famiglia o chi vive in luoghi isolati. E ciò ha prodotto grande affezione verso gli animali, e quindi grande riconoscenza per noi che cercavamo di garantire la loro salute.
M. G. C.
Cara M.G.C., effettivamente sono del tutto d’accordo con lei: da grande sostenitrice della pet therapy (altrimenti perché avrei messo nella home page di questo sito la foto della mia amata jack russell Lilù?…) sono convinta che la funzione dei veterinari, oltre che moralmente nobile, è socialmente utile come “prima linea di difesa” da patologie psichiche e frustrazioni sociali, e ciò – come giustamente ha rilevato – soprattutto in situazioni critiche come quella generata dalla pandemia Covid-19.
In realtà l’articolo parte da una ricerca socio-statistica che presenta dati incontrovertibili, e in esso ho formulato delle ipotesi sul perché essi siano emersi. E la tesi che prospetto vale perciò sui grandi numeri, non coinvolge certamente il singolo e rappresenta puramente un approccio sistematico.
Posso pertanto rassicurarla (dalle sue parole si capisce benissimo) che non è tra coloro i quali hanno abbracciato la professione come ripiego o come strumento per compensare traumi giovanili, sicché può ritenersi tranquillamente al riparo dalle dinamiche su cui mi sono soffermata nell’articolo.